La gestione economica dei patrimoni artistici, in particolare di pezzi d’arte contemporanea, si sta rivelando ormai un grande affare. Il mercato «è arrivato a contare circa 45 miliardi di dollari di fatturato complessivo tra Stati Uniti e Gran Bretagna, secondo gli ultimi rapporti» spiega Alessia Zorloni, docente di Advanced Economics and Management of Arts al corso di laurea interfacoltà “Economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo” (Lettere ed Economia). 

Ma ciò che è più è interessante è l’incremento del 1000% nel mercato dell’arte contemporanea. Un’impennata dovuta a diversi fattori. Secondo la professoressa Zorloni «pesa l’arrivo di capitali stranieri provenienti da Paesi emergenti. Da Asia e Africa arrivano nuovi collezionisti dotati di grandi capitali ma anche artisti: basti pensare che a Londra si è tenuta la prima fiera di arte contemporanea africana». Potremmo chiamarlo effetto collaterale della globalizzazione che, da un lato, mette in crisi il mercato dell’arte e, dall’altro, rinnova e cambia i criteri di esposizione.

Le poche opere esposte nei grandi musei cambiano le dinamiche collezionista-museo. «Aumentano gli spazi espositivi privati. Tra il 2017 e il 2018 ne apriranno tantissimi, edifici che hanno anche un assoluto valore architettonico» afferma Alessia Zorloni. Ma il futuro, anche per il mercato dell’arte, è con tutta probabilità tech: «Le nuove tecnologie hanno avuto un impatto decisivo per le vendite online di opere d’arte: un mercato triplicato rispetto al 2015, che attira collezionismo di fascia bassa e che potrebbe facilitare l’apprendimento dell’arte facendo nascere nuove modalità di fruizione delle opere». 

Molto spesso però le collezioni d’arte private, costruite scrupolosamente nel corso degli anni, vengono smembrate dagli eredi del collezionista. Cosa fare per evitare la dispersione di questi patrimoni? Una soluzione è affidarsi a un Family Office. Si tratta, come spiega Patrizia Misciattelli delle Ripe, di un’agenzia specializzata «che tiene sotto controllo in maniera olistica, con lo scopo di evitare distribuzioni, asset class reali, asset class finanziari e valori intangibili come il capitale umano e relazionale: vero cemento e collante per l’identità di una famiglia». 

Secondo la presidente dell’Associazione Italiana Family Officer (Aifo) le distribuzioni di capitali, soprattutto liquidi, sono da evitare: «Come ci insegna la fisica, i liquidi sembrano abbastanza facili da dividere, ma sono altrettanto facili da far evaporare». Il patrimonio artistico, oltre a essere costitutivo dell’identità di una famiglia, può essere anche il veicolo attraverso cui rendere “tangibili” quei valori legati al family brand e alla reputazione della famiglia stessa. 

Compito degli advisors è «tenere sotto controllo e misurare il valore della collezione, studiare piani strategici d’investimento e disinvestimento, fornire assistenza fiscale e normativa» ha aggiunto la presidente di Aifo. «L’arte è per definizione l’asset class migliore per progettare e definire temi di continuità nella famiglia. È il giusto mezzo per costruire esperienze di convergenza e interesse tra le diverse generazioni per non disperdere i patrimoni». 

Le fa eco Antonella Negri-Clementi, presidente e Ad di Global Strategy, che auspica un futuro in cui «l’opera d’arte sia vissuta da più persone accrescendone il valore» e ne suggerisce l’uso come asset finanziario a garanzia di strumenti finanziari. «Montare finanza a debito facendo landing sulle collezioni artistiche: una sorta di finanziarizzazione dell’arte che renderebbe le stesse opere più circolanti e coniugherebbe la passione per l’impresa dei proprietari alla passione per la bellezza ». 

L’investimento in un bene artistico è effettivamente un investimento sicuro su un cosiddetto “bene rifugio”, come si è soliti dire? A giudizio del consulente di Christie’s Marco Trevisan si tratta di una convinzione diffusa ma non così vera: «Se proprio vogliamo definire l’acquisto di beni artistici un investimento, mi pare che a fronte di ricavi interessanti i rischi non sono così bassi: è difficile determinare quando riuscirò a rivendere l’opera, il mercato dell’arte è poco prevedibile, tollera pratiche come l’aggiotaggio e l’inside trading altrove illegali, e il grado di rischio è variabile a fronte di gravi asimmetrie informative a proposito degli investimenti stessi: il rischio è molto basso per le opere antiche molto più alto per gli artisti emergenti e in generale “nuovi”». La soluzione pare allora diversificare, e vale per i tanti investitori, da chi compra opere d’arte per piacere personale, a chi lo fa per la ricerca di prestigio sociale, ma anche per quanti assecondano il loro spirito imprenditoriale.