Raccontare lo sport spesso significa limitarsi a una fredda cronaca degli eventi. Ma gli sportivi, prima ancora di essere atleti, sono uomini e donne: le loro storie, i loro trascorsi, le loro personalità influiscono sulle loro prestazioni e, spesso, sono degne di essere raccontate.
Lo fanno in pochi in Italia. Uno di quelli che ha fatto scuola è Federico Buffa. L’avvocato/giornalista milanese lo spiega nella video intervista ai microfoni di Cattolicanews. E ne ha parlato, qualche giorno fa, alla lezione che ha tenuto in largo Gemelli agli studenti del master “Comunicare lo sport”. Venti giovani futuri addetti ai lavori della comunicazione che per un’ora e mezza si sono lasciati guidare dall’eloquio di Buffa nel ripercorrere temi, pregi e difetti del mondo della comunicazione sportiva italiana e non.
Il punto di partenza è la differenza tra Stati Uniti e Italia nella considerazione dello sport. «Gli americani, non avendo una storia millenaria alle spalle, e per evitare di parlare di uno dei più grandi genocidi, hanno reso il cinema e lo sport la loro epica. Per il popolo americano, e più in generale per il mondo anglosassone, lo sport è la vera e propria base educativa: credono fortemente nella cosiddetta “second chance”, ossia l’idea che lo sport offra sempre una seconda possibilità per redimersi».
Nulla del genere avviene in Italia. Nella nostra Costituzione, che contiene quasi diecimila parole, non è citata mai la parola “sport”: è come se non avessimo attribuito ai compiti del nostro Stato la formazione dei cittadini attraverso l’educazione sportiva.
Il “cantastorie” di Sky, seguendo le sollecitazioni degli studenti del master, tocca le biografie di atleti leggendari come Michael Phelps, i suoi successi, ma anche le sue difficoltà nel rapportarsi con gli altri una volta uscito dalla vasca. O le vicissitudini che spesso si sono trovati ad affrontare con il fisco, come nel caso di Lionel Messi, e il modo in cui una tale vicenda è stata trattata in Europa, a fronte dell’impatto che avrebbe potuto avere oltreoceano.
Buffa conclude la sua lezione con una confessione: «Preferisco raccontare storie già finite, di personaggi che posso analizzare nella loro completezza. Per questo preferisco le storie del passato a quelle di oggi, anche se l’80% delle cose che accadono negli eventi sportivi non ha a che fare con lo sport».