di Maria Cristina Bosco *

Intraprendere un viaggio alla volta del continente nero non era una novità per me. E, soprattutto, non era la prima volta che partivo per un’esperienza di volontariato internazionale. Ero dunque preparata a quello che mi aspettava una volta arrivata laggiù, o meglio: ero convinta di sapere già che cosa avrei trovato. E, invece, la terra africana mi ha sorpreso, ribaltando, ancora una volta, tutte le mie convinzioni.

Vivere a Utawala, nella periferia di Nairobi, mi ha permesso di fare esperienza di una realtà che, a mio parere, si può comprendere soltanto toccandola con mano.

A circa un’ora di strada da Alice Village, la Children Home in cui ho alloggiato, si incontra la discarica di Dandora, una delle più estese dell’Africa. Ai suoi piedi sorgono le baraccopoli  di Korogocho e Dandora ed è proprio qui che si trovano le scuole di Twins International in cui ho svolto volontariato per un mese.

Lo scenario che ci si trova davanti è inverosimile: una distesa di rifiuti a perdita d’occhio, come una vera e propria città, dove gli abitanti si dispongono ai lati in strade sterrate difficilmente percorribili, avvolte da una nuvola di gas irrespirabile, e baracche fatte di lamiere, plastica e materiali di scarto. 

Quanta differenza c’era tra questa zona della città e il resto di Nairobi: da una parte i grattacieli, dall’altra le baraccopoli. Gli uni accanto alle altre, senza nessuna via di mezzo.

L’accoglienza a scuola è invece proprio come ce la si aspetta: migliaia di bambini felici della tua presenza e impazienti di scoprire quali nuove cose farete insieme.

È per questo che ho deciso di portare a scuola non qualcosa che fosse unidirezionale, ma uno scambio: uno scambio culturale, uno scambio di esperienze, uno scambio di valori.

Le mie lezioni iniziavano quindi con delle domande - quelle dei bambini - e diventavano così dei dialoghi, con cartina geografica alla mano, prontati all’esplorazione delle nostre culture. In questo modo, abbiamo individuato differenze e uguaglianze, e abbiamo cercato di combattere gli stereotipi da entrambe le parti, mettendo a confronto i due punti di vista. Era veramente incredibile vedere fino a che punto si spingesse la loro curiosità e la loro voglia di conoscere! La maggior parte delle volte preferivano addirittura saltare l’intervallo per continuare a interrogarsi e a mostrarmi quello che i loro occhi vedevano.

All’uscita della scuola primaria di Korogocho, sul cancello, c’era una scritta: “ Thank you for visiting…Did you add value to us?” (“Grazie per la visita…Avete aggiunto valore a noi?”).
Una domanda che mi ha fatto riflettere. Molto spesso, siamo proprio noi a dare il nostro punto di vista sulle cose, noi a esprimere quello che un’esperienza come questa ci ha dato, noi a giudicare il nostro operato. Ma loro cosa pensano? Abbiamo aggiunto valore oppure no?

Non ho una risposta alla domanda che la scuola mi ha posto, non so se ho aggiunto valore, se le mie azioni sono state significative o perlomeno utili, ma ho la certezza di aver camminato lungo un percorso bidirezionale, nel quale, provando a dare qualcosa, ho ricevuto molto di più. 

Questo per me ha significato l’esperienza in Africa: guardare con gli occhi dell’altro.

* 25 anni, di Arese (Milano), laureata al corso di laurea magistrale in Economia e Gestione dei Beni Culturali e dello Spettacolo, interfacoltà Economia e Lettere e filosofia, campus di Milano