di Francesca Cottini *

Dopo aver frequentato il liceo scientifico Copernico di Brescia, mi sono iscritta a Matematica e questo per me è il terzo anno di corso. Fin dai primi anni di scuola mi sono sempre divertita con la matematica: vivevo le lezioni con entusiasmo, svolgevo gli esercizi che mi assegnavano come se stessi giocando, ho sempre capito i concetti e quindi sono sempre stata gratificata da questa disciplina. 

Tutto questo sicuramente è stato possibile grazie agli insegnanti preparati che ho incontrato lungo il mio cammino, cui devo moltissimo. Eppure, nonostante queste premesse, durante il mio percorso scolastico ho sempre convissuto (e combattuto) con un binomio piuttosto contraddittorio: da una parte c’era la “consapevolezza delle mie capacità” a rasserenarmi e alimentare l’autostima, ma dall’altra faceva spesso capolino il “timore di non essere abbastanza brava” in una disciplina così complessa, anche se per me molto affascinante. 

Per questo, finito il liceo, l’idea di iscrivermi a Matematica mi stuzzicava e intimoriva allo stesso tempo; condividevo anche io, infatti, lo stereotipo secondo il quale solo i geni potessero fare matematica. Ovviamente io non mi consideravo affatto tale, quindi mi ero quasi autoesclusa dal percorso, nonostante mi dispiacesse abbandonare per sempre una materia da cui ero attratta e di cui sentivo dover scoprire ancora tanto.

Per fortuna, durante l’estate sono andata comunque all’Open Day dell’Università Cattolica della sede di Brescia ed è stata l’empatia di una dottoranda a convincermi nella scelta: nel discorso di presentazione del corso di laurea, la studentessa sottolineava convinta come non fosse proprio necessario essere un “genio” per frequentare la facoltà di Matematica, bastava solo che piacesse e poi tutto il resto sarebbe venuto da sé. Allora, con tanta paura e un po’ di sana follia, mi sono messa in gioco.

Non nascondo alcune difficoltà, all’inizio, per adeguarmi ai ritmi universitari, al punto che talvolta durante il primo semestre ho avuto qualche ripensamento. Eppure, piano piano, mi son resa conto di quanto mi entusiasmassero gli argomenti che studiavo, di quante tematiche non avrei mai approfondito se mi fossi fermata alle conoscenze del liceo. Poco a poco, comprendere e studiare le varie branche della matematica diventava sempre più facile e ad ogni esame trovavo spiegazioni inaspettate di concetti appresi in precedenza. A volte avevo perfino l’impressione che si chiudesse un cerchio grazie al nuovo punto di vista con cui mi avvicinavo ai problemi. 

Devo dire che la matematica ha formato il mio cervello, che ora è allenato al pensiero divergente, flessibile, più ricco e perfino più creativo. Non solo, la matematica ha anche temprato il mio carattere in questi tre anni: questa disciplina insegna infatti a non “adagiarsi mai” né a dare nulla per scontato, ma a perseverare nella ricerca; abitua a guardare lo stesso concetto da punti di vista diversi, stimola, induce ad approfondire. Più studio la matematica e più mi rendo conto di quanti temi ancora mi siano ignoti e nasce naturale in me la curiosità, la voglia di scoprire. 

Questo atteggiamento non vale solo nei confronti della disciplina, ormai l’ho assorbito al punto che è diventato un modo di affrontare la vita. Talvolta mi scontro ancora con la mia parte più debole e fragile, con la paura di non raggiungere gli obiettivi, e molti dubbi vengono ancora a galla in questo periodo in cui devo scegliere l’indirizzo per la laurea magistrale. Eppure la matematica, con il suo atteggiamento di determinazione di fronte alle sfide, mi aiuta. Quando mi sono iscritta all’università, molte persone mi dicevano che una materia così arida avrebbe reso arida anche me: al contrario, sta formando la persona adulta che voglio essere e mi ha regalato tanta passione con cui affrontare le sfide.

A chi mi chiede cosa voglio fare dopo la laurea la risposta è semplice: continuare con la ricerca, affrontare il mondo del lavoro con questo atteggiamento matematico, che tutto è fuorché rigido, fare matematica applicando le conoscenze acquisite e magari, perché no, battendo anche nuove strade.

Quanto al fatto che gli studi scientifici sembrino emarginare le donne, posso dire che l’ho constatato e lo stesso mondo accademico vede una forte prevalenza maschile, nonostante ad esempio nel mio corso siamo in numero pari tra studenti e studentesse. Nella mia esperienza di “donna matematica” ho sempre creduto nella mia femminilità come punto di forza, ma in effetti anche la maggioranza delle mie compagne di liceo si è indirizzata verso studi umanistici. 

In passato molti stereotipi sociali e culturali spingevano le ragazze a scegliere facoltà umanistiche e forse la stessa autostima di molte studentesse ne è stata condizionata, il che mi dispiace molto. Per fortuna non ho vissuto simili condizionamenti e spero che in futuro le donne siano sempre più presenti nel campo delle scienze matematiche: sono convinta infatti che in ambito scientifico ci sia bisogno dell’arguzia e della creatività femminile, senza nulla togliere all’intuito maschile. Creando le basi per una maggiore sinergia tra uomini e donne, tutti trarrebbero giovamento dalla ricchezza specifica di cui ogni genere è portatore”.

* Studentessa del terzo anno del corso di laurea triennale in Matematica, facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali, sede di Brescia