di Marianna Mancini e Bruno Cadelli 

Fotografare l’Italia dal punto di vista sociale, economico e culturale. È l’intento dell’ultimo libro di Luca Ricolfi La società signorile di massa, presentato lo scorso 20 gennaio all’Università Cattolica. Insieme all’autore sono intervenuti i professori dell’Ateneo Marco Lombardi, direttore del Dipartimento di Sociologia, Angelo Moioli, docente di Storia Economica, Italo Piccoli e Giancarlo Rovati, docenti di Sociologia. 

Ricolfi sottolinea come fin dal titolo del libro abbia utilizzato un linguaggio puramente tecnico, non avventurandosi in un giudizio di merito. L’accesso al surplus da parte di chi non lavora è infatti il primo evidente segno della società signorile. La ricchezza accumulata dalle generazioni precedenti viene spesa dai giovani, che non riescono a esaudire le loro aspettative lavorative. Un fenomeno dovuto alla crisi del sistema scolastico italiano incapace di effettuare una selezione meritocratica. «Parlo di un generale lassismo che ha consentito a tutti di ottenere un titolo di studio, creando una forte disuguaglianza e l’aspettativa legittima di svolgere un lavoro adeguato a presunte capacità» ha sottolineato il professor Ricolfi aggiungendo che «negli anni ’60 per prendere la licenzia media a un ragazzo erano richieste conoscenze che oggi i nostri diplomati di solito non hanno». Questa tendenza equivale a essere «produttori di falso in atto pubblico». 

Il libro, come ha ricordato durante la presentazione Italo Piccoli, sta scalando le classifiche di vendita. Il successo è dovuto al tentativo di mettere in evidenza alcune contraddizioni della società italiana, attraverso l’analisi di dati empirici. Ricolfi, partendo da un dato raccolto sul campo, ritiene che circa 2/3 degli italiani viva in condizioni di relativo benessere ma nel giro di un lustro finirà per esaurire il patrimonio accumulato, avviando il Paese a un progressivo declino. Questa momentanea condizione agiata è altresì garantita da quel terzo di popolazione che si divide in infrastruttura para-schiavistica (in gran parte identificabili negli immigrati) e un restante 20% di italiani che si trovano in condizioni di working poor. 

«Essere ottimisti o pessimisti è un fatto di personalità. Negli anni ’90 ero convinto che qualcosa si potesse ancora fare, ma per uscire da questo declino l’iniziativa del ceto politico è imprescindibile. Se la nostra classe politica resta miope e autoreferenziale, gli italiani si adagiano sopportando il male minore» ha affermato Ricolfi. 

La presentazione si è conclusa affrontando il tema del “doppio legame”: «Una delle fonti di disagio del mondo moderno in Italia è che, a prescindere dalla posizione occupata (sfruttatore del surplus e produttore), possiamo descriverci sia come vittime che come privilegiati». Il benessere di cui usufruiscono oggi i giovani è garantito da una rendita ricevuta sulla base di una qualche appartenenza sociale: questo privilegio va a scontrarsi con il mancato inserimento in un sistema lavorativo, che impedisce loro di produrre nuova ricchezza nella società.