Maria Carrubadi Maria Carruba

La scuola come luogo principe per l’inclusione, intesa come diritto per tutti. È la sfida del mio progetto di ricerca “Classroom management and inclusion: pedagogical and technological approach”, che si colloca nell’ambito della Pedagogia speciale, la  scienza che ha il compito di individuare, tracciare e percorrere strade pedagogico-educative e didattiche a garanzia anche dell’allievo con disabilità o con problemi significativi. La tecnologia, in questo contesto, diventa strumento non solo per una didattica innovativa ma ausilio per l’inclusione scolastica. In classe convivono esigenze diverse e, sempre più, è richiesto all’insegnante di diventare regista attento per rilevare i bisogni e trovare modalità equipollenti che possano rispondervi in modo efficace.

Come raggiungere l’allievo e permettergli di fruire del percorso educativo nel migliore dei modi? Quali strategie, quali strumenti e quale metodo adottare per raggiungere tutti e ciascuno in classe? Rispondere all’esigenza dell’insegnante di superare la difficoltà di insegnamento generata da un particolare bisogno dell’allievo, sia che si tratti di una disabilità che di un disturbo, si traduce con la risposta mirata ed efficace ai bisogni dei discenti che meritano un percorso educativo ad hoc. L’insegnante in questo modo, nell’ottica del caring di don Milani, non è più solo colui che trasmette conoscenza ma il primo grande “ausilio” per l’apprendimento di cui tutti gli allievi, nessuno escluso, hanno bisogno.

All’insegnante non è richiesta una competenza puramente tecnica ma di conoscere e sfruttare le potenzialità della tecnologia come uno strumento che rende insegnamento e apprendimento un momento piacevole e funzionale. La tecnologia può diventare uno strumento per personalizzare l’apprendimento, un ausilio per l’insegnante per rispondere alle esigenze di tutti gli allievi presenti in classe, e spesso rappresenta, per l’allievo con disabilità, un vero e proprio strumento per il benessere. Naturalmente essa non può cancellare la disabilità o una difficoltà ma può ridurla, compensarla, oggi più che mai: grazie alla tecnologia si può sentire, leggere, vedere, scrivere, imparare anche laddove le compromissioni senza l’uso di un ausilio non lo avrebbero mai permesso. Per questo ritengo importante concentrare la mia ricerca sulla possibilità di conoscere come sfruttare al meglio le innovazione tecnologiche per promuovere benessere in classe, a scuola e, quindi, nella società in generale».

Lo scorso luglio, a Vienna, ho partecipato all’International Conference on New Horizons in Education. Organizzata dalla Taset (The Association of Science, Education and Technology), dall’Università delle Tecnologie di Vienna, dall’Università di Sakarya, dall’Università di Istanbul e dalla Governors State University, la conferenza era incentrata sugli aspetti innovativi necessari per una educazione di qualità. Il mio contributo si è inserito a pieno titolo come proposta di una nuova prospettiva con cui guardare alle tecnologie in classe: non solo un modo per rendere attuale e innovativa la didattica ma uno strumento per gestire meglio la classe e per consentire a ciascun allievo di personalizzare i contenuti in base alle proprie esigenze.

Sono sempre molto utili i confronti e gli scambi di opinioni su temi, metodologie, strumenti con altri ricercatori di altre parti del mondo. L’internazionalizzazione diventa prerequisito necessario per saper andare oltre la propria realtà quotidiana, imparare dagli altri e allo stesso offrire il proprio contributo, acquisire nuovi spunti bibliografici o metodologici, definire meglio alcuni punti del proprio progetto, trovare conferme che certamente danno sollievo, scoprirsi non un’isola ma parte di una comunità di ricerca.