Nell’emergenza Covid hanno fatto notizia, accanto a medici e infermieri, anche i sacerdoti. Molti perché, per stare vicini ai malati negli ospedali e nelle case di riposo, hanno contratto la malattia e, talora, sono anche deceduti. Tutti perché non hanno abbandonato la vicinanza alle persone colpite in maniera diretta o indiretta. Tra di loro anche molti assistenti pastorali o docenti di teologia dell’Università Cattolica, che, accanto al loro impegno in Ateneo, sono stati in prima linea su diversi fronti


Aiutare le persone in difficoltà a causa della pandemia si può fare con molti gesti. Le piccole azioni non si limitano solo a sostenere, ma anche a mantenere vivo lo spirito di comunità. È quanto cerca di fare don Simone Tosetti, giovane vicario parrocchiale della chiesa di San Nicolò a Trebbia in provincia di Piacenza, assistente diocesano dell’Azione Cattolica Ragazzi e cultore della materia in Teologia nel campus di Cremona dell’Università Cattolica.

In questa situazione così eccezionale lei ha trovato un modo particolare per cercare di dare una mano alle persone della sua comunità? «Abbiamo cercato di mantenere un contatto telefonico con tutti, in particolar modo con gli anziani che abitualmente frequentavano la parrocchia o il bar dell’oratorio, perché erano quelli che rischiavano di più sentire la solitudine. Invece con i ragazzi del catechismo e dei gruppi giovani abbiamo utilizzato le varie piattaforme per le videochiamate. Ci sentiamo ogni 10 giorni e cerchiamo di portare avanti in questo modo un po’ alternativo i gruppi che avevamo iniziato durante l’anno. Raccogliendo il bisogno che c’è in questo tempo, abbiamo cercato in qualche modo di sopperire ai bisogni più concreti delle persone: abbiamo qui una Caritas che è molto impegnata insieme al comune, alla protezione civile e al nostro gruppo scout nella distribuzione di viveri e mascherine, cercando di contattare le famiglie più bisognose. Come proposte un po’ più spirituali, ci siamo avvicinati alle famiglie attraverso dei sussidi preparati da noi o dalla diocesi da mandare per la preghiera personale e la meditazione della Parola. Nell’Ottava di Pasqua e poi nel mese di maggio abbiamo fatto delle dirette sulla pagina Facebook della parrocchia dove abbiamo proposto delle meditazioni che possano alimentare la Fede in assenza dalle attività abituali».

Per quanto riguarda l’attività della vostra Caritas, l’assistenza viene svolta su più fronti, dalla spesa fino ad aspetti più prettamente medici? «Per le questioni mediche facciamo più riferimento alla protezione civile o ai membri della Croce Rossa. Certamente anche nel sentirsi telefonicamente o nel semplice portare la spesa poi ci accorge della situazione in cui versano certe famiglie o anziani che sono da soli».

Le persone vivono questa situazione in modo diverso, magari in maniera pesante a causa della solitudine, dell’età o per aver contratto il virus. Lei come si relaziona con loro, sia per l’assistenza spirituale sia per quella materiale? «Sicuramente la prima cosa che come Chiesa siamo chiamati a fare è ricordare la speranza cristiana, ovvero che il Signore riesce in qualche modo a far andare tutto verso il bene nonostante la difficoltà e il dolore. Far capire che malgrado la paura si continua a essere comunità. Questa è una forza che deve consentirci di andare avanti sperando di potersi ritrovare a vivere la nostra fede in modo comunitario».

Vivere la fede in modo comunitario penso che sia una delle privazioni più forti al momento. Come l’hanno vissuta i suoi parrocchiani? Sono riusciti a trovare un modo per sopperire alla mancanza del rito comunitario senza far vacillare il loro credere? «È stato molto difficile perché noi veniamo da una mentalità per cui si può vivere la fede in modo privato e personale ma certamente il modo più sentito e vissuto è quello comunitario. Qui fin da subito si è imposto uno stop alle celebrazioni: le persone hanno fatto fatica a capirlo mentre alcune hanno cercato di ribellarsi. Poi credo che abbiano compreso la necessità di sospendere tutto vedendo come si evolveva la cosa. È quello su cui cerchiamo di puntare: ricordare che certamente la fede trova il suo momento culminante nella vita comunitaria, ma non si vive solo all’interno di essa. Da qui l’invito a meditare la parola di Dio perché anche attraverso di essa si alimenta la fede. Ma anche attraverso la carità all’interno della famiglia. Dopotutto sperimentando la carità si sperimenta la presenza del Signore. Certamente la fede si vive in comunità, ma dobbiamo viverla anche nella vita di tutti i giorni».

Nella sua opera di assistenza ci sono stati episodi che l’hanno toccata particolarmente? «Una cosa che sicuramente mi ha preoccupato è l’aspetto familiare. Per fortuna nella mia famiglia non ci sono state malattie legate al virus o problemi particolari, però si vive con il timore che qualcuno possa stare male. Personalmente ho vissuto delle perdite di amici: qui a Piacenza è morto un prete che aveva contratto il coronavirus proprio all’inizio della pandemia ed era assieme a me assistente dell’Azione Cattolica. Si era creato un bel rapporto e proprio per questo c’è stata sofferenza, dopotutto era un giovane pastore con cui si condivideva una missione. Per cui percepisci anche da prete l’importanza delle persone che hai intorno, non solo per il servizio che fanno ma anche per quello che creano con te a livello relazionale. Stare in parrocchia significa anche questo: vivere la fede a contatto con le persone. Quando vengono a mancare, senti il dolore come se venisse a mancare una persona molto cara. In tutti questi casi riesci a percepire la fede profonda con cui hanno vissuto questo momento e capisci che essa può essere l’unica consolazione di fronte a questo strazio».

A livello di fede questa situazione ha portato le persone a una crisi oppure a stimolato una maggiore riflessione? «Credo che siano accadute entrambe le cose. Certamente gli eventi che accadono ci fanno porre delle domande anche nei confronti di Dio. Sicuramente c’è stato chi si è posto delle domande e probabilmente che adesso fatica a vivere la fede. Ma sicuramente ci sono persone che in questa situazione hanno sentito necessaria per la loro vita il legame con il Signore. Nel rapporto con il Signore qualcuno uscirà cambiato perché non avrà più tanta fiducia, ma sicuramente le persone che vivono sinceramente la fede ne usciranno rafforzate perché scopriranno che la presenza del Signore non viene a mancare anche in momenti così strazianti. Questo ci fa anche riscoprire la Croce: Dio è stato il primo che non si è allontanato dalla sofferenza della croce proprio per poterla condividere con gli uomini. Non è quindi un Dio lontano, ma un Dio totalmente prossimo».


Settimo di una serie di articoli dedicati all’impegno dei preti assistenti pastorali o docenti di teologia dell’Università Cattolica sul fronte Coronavirus