Hanno frequentato la scuola di giornalismo dell’Università Cattolica o hanno incarichi di docenza e sono in prima linea, su diverse testate, nel racconto della pandemia da Coronavirus. Ma testimoniano tutti insieme che i media, soprattutto online, restano ancora vitali. Le voci dei nostri reporter in una serie di articoli


Se da un lato il Coronavirus ha causato lo svuotamento di strade e piazze, dall’altro ha portato alla saturazione di alcuni settori strategici. Come quello sanitario, il cui lavoro prosegue da oltre un mese senza un attimo di tregua. Stessa cosa anche per il settore dell’informazione. 

«Ormai è come se fosse tutto una notizia: sta succedendo “la qualunque”, ed è sempre più difficile sapersi orientare» commenta Sacha Biazzo, la cui voce, nelle ultime settimane, è stata fra le più presenti dalla colpitissima provincia bergamasca. Firma di Fanpage.it, di cui coordina il team backstair che si occupa di videoinchieste, Biazzo ha frequentato la Scuola di Giornalismo dell’Università Cattolica durante il biennio 2012-2014. 

«Un’esperienza fantastica, sia in termini pratici che teorici. La mia passione per il videogiornalismo investigativo è nata proprio seguendo un corso di Matteo Scanni, il coordinatore del master» sottolinea Biazzo, affermatosi nel panorama giornalistico grazie a un’inchiesta, Blood money, un’indagine sullo smaltimento dei rifiuti in Campania che l’ha portato sotto i riflettori della stampa nazionale. E sono gli approfondimenti a essere messi a dura prova durante questa crisi, riducendo al minimo contatti e spostamenti anche per quei reporter da sempre boots on the ground

«È proprio questo il momento in cui i giornalisti devono far emergere narrazioni diverse da quelle ufficiali, diventate ormai il principale canale di informazione durante l’emergenza» prosegue, sottolineando come i dati forniti dalla Protezione Civile, ad esempio, non si siano rivelati sempre attendibili. «All’inizio si dava per scontato che il paziente di Codogno fosse il primo contagiato: oggi possiamo dire che si trattava di un’informazione inattendibile, dato che la diffusione del virus in Italia era iniziata da ben prima» dice Biazzo, che rivendica l’importanza del giornalismo investigativo proprio in un contesto emergenziale come quello che stiamo vivendo. 

«Ci sono molti meno giornalisti in giro; tanti sono anche freelance, e per loro è anche più difficile muoversi. Nonostante ciò, è in questi momenti che bisogna attivarsi, facendo domande e chiedendosi cos’è che non ha funzionato». L’irrompere del Covid19 ha stravolto la nostra quotidianità forse anche per come ha trovato impreparate le persone; fra queste molti giornalisti, che fino a qualche mese fa non avevano mai avuto a che fare, così tanto, con morte e sofferenza. 

«È tutto davvero straniante. Se vediamo i numeri, solo a Bergamo, è come se ci fosse stata una strage – prosegue Biazzo – ma poi, quando arrivi nei paesini della provincia, non trovi alcun segno tangibile di ciò: la paura la percepisci, ma non la vedi incarnata in nulla se non nelle porte e nelle finestre barricate. Bisogna entrare nelle piccole storie, per capire il dramma di questa emergenza; forse proprio per questo, credo che l’elaborazione del lutto potrebbe risultare più difficile, per via del distanziamento sociale che rende tutto molto più personale».