Domenica 20 e lunedì 21 settembre gli italiani si recheranno alle urne per decidere, in concomitanza con le elezioni regionali e comunali, se confermare o meno la riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari, portando i deputati alla Camera da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. Si tratta di un referendum confermativo che, a differenza di quello abrogativo, non prevede il raggiungimento di un quorum di affluenza, per cui l’esito è valido indipendentemente dalla percentuale di partecipazione degli elettori. Per fare chiarezza sul tema e capirne qualcosa di più abbiamo chiesto agli esperti dell’Università Cattolica di entrare nel vivo della questione al di là delle ragioni partitiche che dividono il Paese. Il nostro speciale referendum

di Pier Antonio Varesi *

L’appuntamento referendario trova molti elettori smarriti, anche in ragione del repentino cambio di posizione di importanti forze politiche: come è noto c’è chi in Parlamento ha molte volte votato No alla modifica costituzionale e ora chiede ai cittadini di votare Sì e c’è chi più volte ha sostenuto in Parlamento il Sì e oggi chiede agli elettori di votare No.

Cercando di stare lontano da valutazioni contingenti (legate agli eventuali effetti del referendum sull’attuale quadro politico) e tenendo conto, invece, di considerazioni di merito rispetto al quesito referendario, ho maturato la propensione a votare per il Sì.

Premetto che trovo risibili gli inviti a votare a favore della riduzione del numero dei Parlamentari per i risparmi che ne deriverebbero. In primo luogo i risparmi sono modestissimi (vi è, tra i promotori della riforma, chi calcola circa 100 milioni annui e vi è chi, tra gli avversari, sostiene che il risparmio si aggirerà attorno ai 50 milioni annui; cifre da rapportare a circa 800 miliardi annui di spesa pubblica). Inoltre coloro che hanno a cuore la democrazia sanno che essa ha dei costi e quindi sono disposti a farsene carico pur di vivere in uno Stato democratico.

Pertanto la mia propensione per il Si ha origine in altre considerazioni.

In primo luogo non vedo i pericoli per la democrazia e il funzionamento del Parlamento che da alcuni vengono evocati:

-    la riduzione del numero dei parlamentari era prevista dalle due più importanti riforme costituzionali del recente passato (quella proposta dal centro-destra a guida Berlusconi e quella proposta dal centro-sinistra a guida Renzi). Il fatto che la riduzione fosse stata proposta da entrambi gli schieramenti mi fa pensare che possa essere un obiettivo largamente condiviso e non lo strumento di una parte per sopraffare l’altra;

-    inoltre è certamente vero che il rapporto tra eletti e popolo peggiora con la riduzione del numero dei Parlamentari; mi chiedo però se la questione della capacità di rappresentanza degli eletti sia da ricondurre unicamente ad un dato quantitativo o non vada affiancata anche da riflessioni sui metodi di elezione dei parlamentari: siamo sicuri che 1.000 parlamentari scelti dalle segreterie dei partiti (ed offerti in blocco agli elettori) saprebbero meglio rappresentare il Paese di 600 parlamentari qualora questi fossero scelti più direttamente dal popolo (ad es. in elezioni basate su circoscrizioni ristrette pur con un unico candidato per ogni partito)?

-    Infine, ricordo che il nostro sistema politico è ingessato ed ogni tentativo di riforma delle istituzioni è fino ad ora svanito nel nulla. Chissà che questa piccola riforma non dia ai partiti la scossa per avviare un processo più ampio ed organico di revisione delle nostre istituzioni politiche (ad es. mediante l’adozione di una nuova legge elettorale, la modifica delle circoscrizioni elettorali, la revisione dei regolamenti parlamentari). Non vi è dubbio che sarebbe stato meglio confrontarsi con una riforma complessiva ma, come sappiamo, spesso il meglio è nemico del bene.

In sintesi: pur senza particolare entusiasmo per la (piccola) modifica costituzionale che viene sottoposta al nostro giudizio, nutro la speranza che votando Sì possa essere innescato un processo virtuoso che faccia uscire il Paese dalla condizione di stallo in cui caduto da ormi alcuni decenni.
 

* Docente di Diritto del lavoro, facoltà di Economia e Giurisprudenza, campus di Piacenza