Abbiamo chiesto ad alcuni professori dell’Università Cattolica di spiegare le origini e gli sviluppi della nuova crisi mediorientale e di aiutarci a capire quali strumenti si possono adottare per spegnere la miccia di una situazione esplosiva.

di Gianluca Pastori *

L’uccisione di Qassem Soleimani rilancia in modo drammatico la “vexata quaestio” dei rapporti fra Washington e Teheran. Si tratta di un punto tradizionalmente sensibile per l’opinione pubblica statunitense, che anche in questi giorni è tornata a polarizzarsi intorno alla scelta compiuta dal presidente. In passato, la politica “di distensione” dell’amministrazione Obama -- il cui strumento principale è stato l’accordo sul nucleare del 2015 (JCPOA - Joint Comprehensive Plan of Action) -- è stata guardata con sospetto in molti ambienti, non solo repubblicani. La “linea dura” di Donald Trump ha quindi trovato (almeno sino a oggi) parecchi sostenitori. Vale inoltre la pena di ricordare come l’attacco dello scorso 3 gennaio non sia il frutto di un’iniziativa individuale e come esso esprima una visione condivisa da almeno parte dell’élite di Washington. 

Le conseguenze sono difficilmente prevedibili. Al di là del “flettere i muscoli”, la Casa Bianca non ha alcun interesse a un confronto militare aperto con Teheran, soprattutto alla luce dei cattivi rapporti con il Congresso e nell’imminenza di un voto presidenziale che si preannuncia assai incerto. Come spesso accaduto, l’aumento di tensione provocato alla morte di Soleimani troverà, con ogni probabilità, uno sfogo “gestibile” nelle tante “war by proxy” che punteggiano il Medio Oriente. 

Resta ugualmente in sospeso la questione di una possibile riapertura del dialogo intorno al tema del nucleare. Da vari mesi sembrano esserci segnali dell’esistenza di un canale negoziale indiretto fra Stati Uniti e Iran, volto a individuare una via d’uscita accettabile dall’impasse nella quale i due Paesi si sono trovati. Si tratta, in molti casi, di voci e/o di speculazioni, che segnalano, tuttavia, una variabile in più da tenere in conto per inquadrare quanto accaduto nei giorni scorsi a Baghdad e per comprendere quali potranno esserne gli sviluppi.

* docente di Storia delle relazioni e delle istituzioni politiche, facoltà di Scienze politiche e sociali, Università Cattolica, campus di Milano