Anche il mondo del lavoro sta cambiando a seguito degli effetti del Coronavirus. Le misure recenti approvate dall’ultimo decreto del presidente del Consiglio che impongono di restare a casa per contenere la diffusione del contagio stanno rivoluzionando le modalità di lavorare in tutti i settori: dalle scuole alle università passando per alcune delle principali aziende pubbliche e private attive nel territorio nazionale. «Nel giro di pochi giorni nelle scuole di ogni ordine e grado sono state attivate piattaforme di e-learning, lezioni a distanza, esami, e lauree in videoconferenza», spiega Claudio Lucifora, docente di Labor Economics all’Università Cattolica del Sacro Cuore.

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«Le imprese tecnologicamente più avanzate hanno attivato per i loro dipendenti modalità di lavoro in remoto, riunioni in teleconferenza, piattaforme collaborative per gestire progetti complessi in team di lavoro. Tutto questo è successo in poche settimane mettendo a frutto il lavoro e le esperienze accumulate nel tempo». Insomma, il mondo produttivo e il mercato del lavoro non si sono fermati. «Certo non tutto si può fare a distanza e gli effetti delle misure di contenimento sulle attività produttive alla fine si faranno sentire. Ma il peggio almeno in parte è stato evitato», continua il docente dell’Università Cattolica, tra i massimi studiosi del mercato del lavoro e consigliere esperto del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel).

Quale bilancio, allora, si può trarre da questa esperienza? «Il primo, è che cambiare le modalità di lavoro si può e che le resistenze al cambiamento sia delle imprese sia dei lavoratori possono essere sopportate; il secondo, è che le tecnologie offrono potenzialità infinite per liberare tempo e utilizzare il lavoro in modo più produttivo». Dunque, «il timore di molti che vedono nelle tecnologie e nelle possibilità di automazione dei processi una minaccia al proprio posto di lavoro pare largamente infondato, soprattutto se ai processi automatizzati vengono affiancati nuovi servizi personalizzati che le tecnologie non possono sostituire». Infine, osserva ancora il professor Claudio Lucifora, «il vero bilancio finale è capire come cogliere al meglio i guadagni di produttività e utilizzarli, in parte, per abbattere i costi delle imprese, in parte, per liberare tempo dei lavoratori senza penalizzare le loro retribuzioni. E qui un ruolo importante devono giocarlo le parti sociali che nel processo di contrattazione sono deputate alla redistribuzione dei guadagni di produttività».

Altro aspetto da non sottovalutare è che l’emergenza di queste settimane ha stravolto l’equilibrio delle famiglie, in particolare quelle in cui entrambi i coniugi lavorano. «Un’emergenza che le famiglie affrontano regolarmente, anche in tempi normali, quando i bambini si ammalano durante la stagione invernale e che, durante l’epidemia del Coronavirus, è solo resa più difficile dal prolungarsi della permanenza dei bambini a casa», osserva il professor Lucifora. Ovviamente «parlare di emergenza familiare equivale a parlare di lavoro delle donne su cui ricade principalmente la cura dei figli. Non dobbiamo quindi stupirci se l’Italia ha uno dei tassi di partecipazione delle donne al mercato del lavoro tra i più bassi in Europa, mentre il tasso di fertilità è in picchiata da diversi decenni».

E proprio nell’emergenza, aggiunge Claudio Lucifora, «il governo sta resuscitando provvedimenti di conciliazione e di sostegno alle famiglie introdotti negli anni scorsi dai passati governi e poi non più rifinanziati per dirottare le risorse a misure come quota 100 e reddito di cittadinanza. Il messaggio di questa emergenza per il lavoro e per le famiglie è chiaro: dobbiamo dotarci di misure di conciliazione vita-lavoro che rendano possibile il lavoro delle donne e sostengano la natalità con risorse dirette alle famiglie, affinché avere dei figli sia una risorsa per tutti e non un costo».