di Silvia Musini *

A Unidad Nacional sembra di essere un po’ fuori dal mondo. E forse lo sei davvero. Almeno fuori dal mondo che conosciamo e a cui siamo abituati, quello in cui tutto è alla nostra portata. Lì non ci sono strade vere e proprie, le case spesso non hanno la porta e i garage sono le abitazioni stesse. Gli autobus si chiamano con la mano perché non ci sono le fermate e i taxisti non capiscono mai dove sei. Qualcuno fa i tacos per la strada, mentre qualcun altro semplicemente ripara le strane auto parcheggiate. Nessuno di loro ha idea di cosa ci sia fuori da quelle strade e molto spesso nemmeno di come sia il centro della loro stessa città.

La sera spesso piove, anzi diciamo pure sempre, però ahorita, come tutti in Messico dicono in ogni frase, tutto torna sereno. Sereno come loro. Tutti loro hanno infatti sempre il sorriso sulla faccia, soprattutto i bambini con cui mi sono trovata a vivere questa bellissima esperienza.

Insieme a Giordana e Maria, alla scuola El Girasol abbiamo svolto l’attività di maestre per tre settimane, alloggiando delle Suore Marcelline, nella casa adiacente alla scuola. Io ero la maestra d’inglese e ancora adesso mi fa molto effetto pensarmi così, così come sentirmi chiamare ogni giorno dai bimbi delle mie classi in quel modo mi emozionava tantissimo.

In assenza di un vero e proprio insegnante mi sono trovata a dover gestire da sola quattro classi: due seconde e due terze elementari. Era la prima volta in cui mi trovavo “dall’altra parte”, a pensare le lezioni per 25-30 bambini per classe. Non è stato facile perché il livello d’inglese era piuttosto basso.

La giornata iniziava alle 6.30, con le bellissime albe di Querétaro, e terminava alle 14. In queste ore ammetto che spesso sognavo un letto e un po’d i relax ma non appena li salutavo sentivo già la loro mancanza. Non saprei come descrivere tutti i loro sguardi e i loro sorrisi: ognuno di loro è stato speciale per me, con le domande curiose, forse così banali per noi, che assumevano là un significato completamente differente.

Anche se non avevano niente, volevano in qualche modo darti tutto, dalla loro merenda al materiale scolastico e nessuno di loro era mai triste. D’altra parte come fai a esserlo nella terra delle gorditas e del chili de amor, uno dei tanti peperoncini che mangiavamo ogni giorno che le suore chiamavano così?

Ci sono tante immagini che mi sono rimaste impresse, dai loro disegni, ai loro modi di chiedermi le cose e di stupirsi tutte le volte che mostravo loro l’Italia sulla cartina, così lontana: non riuscivano mai a capire come ci fossi arrivata lì, a Querétaro e perché me ne dovessi andare cosi presto.

Me lo chiedo anch’io. Tre settimane sono poche per comprendere appieno una realtà, anche se possono permettere di farsi un’idea ben definita. E quella che mi sono fatta io del Messico è proprio quella di un girasole: un paese meraviglioso, pieno di colori e di sorrisi, in cui i pericoli e le contraddizioni sono presenti ma sono completamente amplificati dalla lontananza e dalle voci comuni.

Il Charity è stata un’esperienza meravigliosa perché, vivendolo, mi ha permesso cambiare la mia visione del volontariato e capire che non si tratta solo di dare agli altri ma soprattutto di ricevere da loro. Non abbiamo cambiato qualcosa, né abbiamo migliorato le loro difficili condizioni e situazioni familiari. Siamo state cambiate profondamente noi e questo grazie alla semplicità e alla genuinità estrema di tutti quei bambini splendidi che porterò sempre nel cuore.

* 23 anni, di Parma, studentessa del secondo anno della laurea magistrale in Politiche per la cooperazione internazionale allo sviluppo, facoltà di Scienze politiche e sociali, campus di Milano