«In questi casi esserci e stare con le persone è la cosa più importante». Il professor Fabio Sbattella (nel video qui sopra e nella foto sotto), direttore dell’Unità di ricerca in Psicologia dell’emergenza dell’Università Cattolica, è stato nei luoghi colpiti dal terremoto per una prima esplorazione dei bisogni. Il sistema di protezione civile non prevede, infatti, solo l’intervento materiale per scavare tra le macerie e mettere in sicurezza le strutture colpite dal sisma. Ci sono anche le necessità immateriali da prendere in carico: «Il nostro compito è proprio stare con le persone» afferma lo psicologo delle emergenze dell’ateneo.

Il professor Sbattella, che da giovane volontario aveva vissuto il terremoto dell’Irpinia e, con l’Unità di ricerca della Cattolica, ha prestato il suo intervento psicologico nei terremoti del Molise, dell’Abruzzo e di Haiti e dopo lo tsunami che colpì lo Sri Lanka, spiega quali sono le emozioni che dovrà aiutare a gestire tra le persone colpite dalla catastrofe.

«La paura, innanzitutto. Poi le ondate di rabbia (domande come: “Perché proprio a me?”); il disgusto, soprattutto di fronte alla visione di cadaveri (un sentimento che colpisce anche i soccorritori). E poi ancora la tristezza ma anche la gioia intensa, che non può trattenere chi si è salvato per miracolo. Anche questa va gestita».

Il professor Fabio Sbattella con alcuni bambini durante un progetto di qualche anno fa

Ma l’aspetto più critico da affrontare è la dinamica del lutto. «Sia per la morte dei propri cari ma soprattutto perché il terremoto uccide la storia di una persona» fa notare lo psicologo. Cancella il passato, fatto di fotografie, di casa, di luoghi e di ambienti familiari. Ed elimina il futuro, cioè quello che pensiamo di fare, perché improvvisamente spezza ogni progetto di vita (sposarsi, trovare un lavoro, ecc.). La persona si trova a dover ripensare se stessa come dopo un lutto e deve abbandonare il progetto di vita originario, perché quello che era è morto».

Questo lavoro psicologico può durare fino a tre anni. E, oltre all’intervento con tutte le persone ospitate nei campi, che può interessare i primi due-tre mesi, si affianca ala presa in carico di quei casi, che la letteratura scientifica quantifica nel 20%, che scivolano in una situazione di trauma psichico. «È una frattura interna, che in termine tecnico si chiama Disordine post traumatico (Ptsd - Posttraumatic stress disorder) e può presentarsi un mese dopo il terremoto, quando la persona comincia a realizzare quello che è realmente successo».

Nel caso specifico del terremoto che ha colpito il Centro Italia, secondo il professor Sbattella, c’è da attendersi un numero molto inferiore di persone ospitate nelle tendopoli rispetto ai sismi precedenti, perché, essendo zone di villeggiatura, chi ha potuto è tornato alle proprie prime case. «Ma c’è molto lutto. Ipotizzo - conclude Sbattella - che il disagio psicologico sarà molto disperso, per cui bisognerà fare una mappatura e capire dove intervenire».