di Simone Romero *

Domenica 20 e lunedì 21 settembre i cittadini italiani saranno chiamati a esprimere un parere favorevole o contrario alla legge di revisione costituzionale volta alla riduzione del numero dei parlamentari. La contrapposizione tra i fautori del sì e del no sta infiammando da giorni l’opinione pubblica del nostro Paese e, in effetti, a prescindere dalle fedi politiche, saremo chiamati ad esercitare un diritto così a lungo reclamato, che, nella foga del pretendere, spesso abbiamo dimenticato essere anche un dovere. Il motivo che ci porta alle urne in un momento particolare per la società civile e per le istituzioni è particolarmente rilevante perché riguarda il concetto di rappresentanza. 

Da studente della facoltà di Scienze politiche e sociali non posso non notare come il tema del diritto di voto e l’elemento della rappresentanza siano nell’epoca moderna un fil rouge che ripercorre tutto il pensiero politico. Fino a qualche decenni fa, sarebbe apparso del tutto paradossale agli occhi degli intellettuali, dei pensatori politici e finanche dei semplici cittadini convocare un referendum per decidere se ridurre la rappresentanza, quindi per tagliare il numero di coloro che rappresentano le volontà di una comunità politica. Per di più in un contesto, come quello attuale, dove si prevede una partecipazione elettorale bassa.

Se con lo sguardo dello studente ho una prospettiva quasi contraddittoria, con quello del giovane elettore ne ho una maggiormente lineare. Discutendo con alcuni coetanei (e non solo) sulle prospettive del referendum, ci si è spesso trovati a dibattere vivacemente. Non credo sia un caso. Infatti, negli ultimi mesi, l’emergenza sanitaria ha evidenziato come le scelte dei decisori politici siano essenziali per la collettività; il fatto che queste riguardassero misure di quarantena, di distanziamento sociale e che toccassero quindi l’intimità e gli affetti dei cittadini ha più o meno consapevolmente spinto a un maggiore interessamento verso l’attualità politica. La tempistica di questo referendum ha in parte trasformato la semplice attenzione in concreto dibattito e severa riflessione; a prescindere dagli esiti, un popolo più informato, partecipe e propositivo toglie spazio alla deriva populista e alla diffidenza verso ciò che non si comprende o conosce.

Il referendum potrebbe rappresentare una svolta in questa direzione. Utopia? È probabile che, finalmente, dal “più inutile dei referendum” si possa intravedere, sulla linea dell’orizzonte, un voto cosciente, con cognizione di causa verso il “più utile dei referendum”. Chissà che dall’“andate al mare” di un caldo giugno 1991, non si possa passare ad un “andate a votare” di un rovente autunno 2020. 

* studente della facoltà di Scienze politiche e sociali, Università Cattolica