“Ma tu ti senti più cinese o più italiano?”. Sorridendo, Marco Wong, presidente onorario di Associna e riferimento per la comunità italiana dei cinesi di seconda generazione, dice che questa è la domanda che ha terrorizzato la sua infanzia. 

Invitato all’incontro “Parlando di tè” organizzato da Alumni Cattolica e Istituto Confucio dell’Università Cattolica, Wong ha raccontato la sua esperienza come Italian born chinese, e presentato la raccolta di romanzi Cinarriamo. Prima di lui la professoressa Antonella Sciarrone Alibrandi, prorettore dell’Ateneo e presidente di Alumni Cattolica, ha evidenziato l’attenzione che l’Università presta agli studenti cinesi di prima e seconda generazione.

L’Istituto Confucio dell’Università Cattolica, di cui la professoressa Elisa Giunipero è direttore, dal 2009 svolge una funzione di mediazione tra la comunità cinese e quella italiana, e nel 2019 è stato eletto Istituto Confucio dell’anno. Un ponte verso la Cina – dice - «che ormai è entrata a far parte della nostra vita quotidiana. Non è più la realtà lontana ed esotica che fino a qualche tempo fa si pensava, eppure rimane quasi sempre un’estraneità che suscita insicurezza e paura. L’unico antidoto a questa estraneità è la conoscenza”, e l’Università deve servire proprio a questo. «Il modo migliore per conoscere la realtà di tanti concittadini sino-italiani – afferma la professoressa Gunipero - è ascoltare la loro voce»: ecco come nasce la raccolta Cinarriamo.

 

I racconti, vincitori di un concorso promosso da Associna, hanno come protagonisti i giovani e i loro problemi, comuni a tutti gli adolescenti di ogni nazionalità. «Questi, nel caso degli Italian born Chinese, tendono ad assumere una drammaticità particolare perché sono dilaniati dal dilemma di una duplice appartenenza, e trovare un equilibrio è uno sforzo continuo». «Il paradosso – aggiunge la direttrice del Confucio – è che il nostro è un mondo sempre più collegato e interdipendente, che però “impone una nazionalità”. È come se la società spinga a identificarsi con uno dei due mondi».

A dare un’efficace risposta a questa contraddizione è stato Marco Wong. Nato a Bologna da genitori cinesi, Wong si è laureato in ingegneria al politecnico di Milano, e ha lavorato per anni nel Regno Unito e in America Latina. Recentemente, inoltre, è stato eletto consigliere comunale di Prato, città italiana con una foltissima comunità cinese, e che nel 2019 ha espresso l’esigenza di avere due rappresentanti nella giunta cittadina. 

Dagli anni 2000, data la «mancanza di voci che narrano il punto di vista cinese», è stato coinvolto nel tentativo di raccontarne la comunità di Roma, tentativo che ha fatto da trampolino alla scrittura del suo primo romanzo. Il suo, afferma, è stato un esperimento, provare a «capovolgere un punto di vista o una narrazione comune» sulla comunità cinese». «È stato interessante capire l’evoluzione di questa narrazione – dice - : significa che c’è la volontà di urlare la propria voglia di far parte della comunità».
 
Nel suo intervento, Wong sottolinea che la prima migrazione di cinesi in Italia era legata al raggiungimento di un sogno: diventare imprenditori. I figli di questi dreamer dagli occhi a mandorla, oggi, ne inseguono un altro, quello di definire la propria identità culturale, anche a prescindere da quanto dice il passaporto. E le loro voci in Cinarriamo ne sono la prova. «Il tema della raccolta è fornire la possibilità di esprimersi e raccontarsi», ma anche tentare di affermare la validità di un’identità che vede la propria ricchezza proprio nella sua “ambiguità”.

«La comunità degli Italian born chinese non è così invisibile» dice in chiusura la professoressa Lala Hu, ricercatore di economia e gestione delle imprese dell’Università Cattolica. «In quest’ultimo periodo, di fronte alla crescente paura legata al coronavirus, molti ragazzi di seconda generazione hanno potuto esprimere la loro vicinanza e testimonianza, ma farlo come persone integrate in Italia che sono un ponte tra due Paesi».

L’incontro si è concluso con una riproduzione della Cerimonia del tè, curata dal gruppo Xingch, espressione del fatto che la condivisione è il punto di partenza per l’integrazione.

Gli episodi di sinofobia devono essere combattuti con la conoscenza e l’informazione: non basta avere gli occhi a mandorla per essere portatori di coronavirus.