Alcuni stralci di un articolo del professor Gabrio Forti apparso sull’edizione digitale del “Sole 24 Ore” di lunedì 9 marzo.

Di Gabrio Forti *

C'è un pensiero di Elias Canetti, premio Nobel per la letteratura nel 1981, che dovrebbe essere stampato e affisso in tutti gli uffici pubblici, luoghi istituzionali e magari anche in ogni casa. «Nulla l’uomo teme di più che essere toccato dall’ignoto. Vogliamo vedere ciò che si protende dietro di noi: vogliamo conoscerlo o almeno classificarlo.».

Tenere sotto gli occhi queste parole aiuterebbe, forse, a identificare tempestivamente e smascherare le molteplici tecniche che l'umanità ha escogitato e continua a mettere in campo, spesso inconsciamente, per compensare la mancanza di conoscenza sull'origine di ciò che le accade e per placare l'inquietudine che ne deriva. Tra esse, una delle più ricorrenti e pericolose consiste nell'andare alla ricerca di “capri espiatori”. Intendendo per tali, prima ancora che persone o intere categorie sociali cui attribuire le colpe per le proprie disgrazie, corpi, individuali o collettivi, da afferrare (fisicamente o virtualmente) e magari far soffrire per illudersi, con tale materializzazione, di tenere tra le mani e, quindi, rischiarare il fondo oscuro e impenetrabile da cui ci si sente minacciati. Il “capro espiatorio” è chiamato a svolgere dunque una illusoria funzione cognitiva, prima ancora di quella, classicamente illustrata da filosofi, antropologi e psicanalisti, di liberazione da sensi di colpa collettivi attraverso la loro proiezione sui malcapitati di turno.

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* Ordinario di Diritto penale nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Alta Scuola “Federico Stella” sulla Giustizia penale