«I 25 miliardi di euro stanziati dalla Commissione europea non bastano, l’ordine di grandezza dovrebbe esse almeno 10 volte tanto». Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica, è scettico sulle scelte fatte dall’Europa a sostegno dell’Italia, in questo momento tra gli stati europei più colpiti dall’emergenza medica del Covid-19. «Si pensava che la Banca centrale europea mettesse in campo misure ancora più espansive, ma non è stato così e allora i mercati hanno reagito male».

Il 12 marzo 2020, infatti, passerà alla storia come una delle giornate peggiori della piazza finanziaria italiana, con la Borsa di Milano che ha registrato perdite pari al -16,92%. «È chiaro che questa crisi avrà conseguenze gravi. Ad alcune di queste sarà molto difficile porre rimedio: se le persone sono a casa perché malati c’è poco da fare. Poi però ci sono effetti anche sulle aspettative, sul clima di fiducia: la gente in una situazione di questo genere si spaventa e smette di spendere, le imprese rimandano i piani, c’è una mancanza di domanda», afferma Carlo Cottarelli.

Che cosa bisogna fare allora? Per sostenere la domanda si possono fare due cose: usare una politica monetaria molto espansiva, ma più espansiva di così è difficile, oppure spesa pubblica. Secondo me l’Europa dovrebbe considerare questa situazione come un’opportunità per fare una grande emissione di Eurobond, titoli di stato emessi non dai singoli paesi ma dall’Unione Europea o da qualche istituzione europea e con questi finanziare spesa che in buona parte potrebbe essere anche spesa per investimenti, per progetti infrastrutturali per risollevare l’economia.

Lo farà? «Non lo so, vedremo. Certo è che i 25 miliardi stanziati sono pochi. L’Italia senza un intervento dell’Europa, come l’emissione di Eurobond, deve arrangiarsi da sola e deve cercare di farlo spendendo in deficit. Se lo sta facendo l’unico problema è la reazione dei mercati finanziari, cioè chi presta soldi all’Italia, che fino a pochi giorni fa era stata relativamente modesta».

Quali saranno le ripercussioni per gli italiani? «Tra il 2011 e il 2013 abbiamo perso 5 punti percentuali di Pil, la disoccupazione è aumentata e nelle tasche degli italiani sono finiti meno soldi. Il governo ha detto che tutto questo sarà evitato. Speriamo che le misure di aumento di deficit pubblico prese aiutino. Se però i mercati finanziari, in altri termini quelli che prestano soldi al nostro Paese, cominciano a scappare allora ci vuole davvero un intervento dell’Europa a sostegno dell’Italia. Ciò però richiede che ci sia un programma per l’Italia, il famoso Mes, il meccanismo di stabilità europeo, sostenuto con soldi anche della Banca centrale europea. Ma su questo, appunto, ci vuole un accordo sulle politiche da fare».

Si possono fare previsioni? «In termini di Pil si può pensare che andremo in recessione. Quanto sarà grande dipenderà dalla durata dell’emergenza sanitaria: se dura tre mesi è un conto, se dura sei o nove è un altro. In ogni caso la prima parte del 2020 è compromessa. Poi noi siamo un Paese che già cresceva poco prima, quindi quest’anno sarà difficile evitarla, anche con un sostegno della spesa pubblica. Il messaggio è che in passato le crisi economiche dovute alle epidemie sono state di breve periodo. Tuttavia se una emergenza come quella che stiamo vivendo s’innesta in una situazione in cui il mondo e, in particolare, l’Italia avevano già qualche squilibrio diventa tutto più problematico».