Si è ridotta la letalità della sindrome da Covid-19: è passata dal 14,5% dei contagiati della prima ondata (fino al 16 giugno), all’11,5% attuale (dati al 24 settembre). Ma i contagi sono in forte crescita specie in alcune Regioni da tenere sotto particolare osservazione: Sardegna, Campania, Lazio e Sicilia sono le Regioni che stanno sperimentando un andamento preoccupante dei contagi, come dimostrano gli incrementi del numero dei positivi dal 16 giugno al 24 settembre, più elevati rispetto al resto delle Regioni italiane, +154,2% (positivi passati da 1.365 a 3.471 nel periodo considerato), +140,7% (positivi passati da 4.613 a 11.102 ), +90,8% (da 7.967 a 15.205) e +83,8% (da 3.460 a 6.359) rispettivamente. 

Il numero dei contagi medi giornalieri in Campania era pari a 67 casi nei primi 60 giorni della pandemia (dal 24 febbraio al 23 aprile), negli ultimi 60 giorni (dal 27 luglio al 24 settembre) è salito a 102; in Sardegna nei medesimi periodi si è passati da 21 a 35 casi medi giornalieri, nel Lazio da 101 a 110 e in Sicilia da 49 a 53. In queste Regioni si riscontra anche un numero mediamente più basso di persone sottoposte a test: 11,7 per 100 abitanti nel Lazio, 9,3 in Sardegna, 6,7 in Sicilia e 6,1 in Campania (Italia 10,8 per 100 abitanti). Fortunatamente la letalità continua a restare tra le più basse: 4,1 decessi ogni 100 contagiati in Campania, 4,3in Sicilia, 4,6 in Sardegna e 5,9 nel Lazio (Italia 11,8).

Al contrario, Lombardia e Piemonte, le due Regioni che nella prima fase della pandemia sono state colpite più violentemente dai contagi, nella seconda fase presentano un incremento mediamente più limitato dei nuovi contagi, rispettivamente del 14,6% e 11,5%. Il numero medio di contagi giornalieri, dal 24 febbraio al 23 aprile, era pari a 1.169 in Lombardia e 386 in Piemonte, dal 27 luglio al 24 settembre, sono scesi mediamente a 159 e 51 contagi, rispettivamente. Purtroppo in Lombardia persiste la percentuale di letalità più elevata, 16,1 decessi per 100 contagiati; anche il Piemonte palesa una letalità elevata pari al 12% dei contagiati.

È quanto emerge dall’aggiornamento al 24 settembre dei dati relativi all’emergenza Covid-19 dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane coordinato dal professor Walter Ricciardi, direttore dell’Osservatorio e Ordinario di Igiene generale e applicata all’Università Cattolica, campus di Roma e dal dottor Alessandro Solipaca, direttore scientifico dell’Osservatorio.

In qualche modo i dati suggeriscono che nella prima fase «sono state molto numerose le persone positive al Covid-19 non intercettate dal sistema di sorveglianza» sostiene Solipaca. «Ciò ha favorito la circolazione di molte persone in grado di trasmettere il virus al resto della popolazione». Infatti, secondo i dati pubblicati agli inizi di agosto dell’indagine campionaria, svolta dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) in collaborazione con il Ministero della Salute e la Croce Rossa, che ha stimato, attraverso test sierologici, il numero di contagiati al 27 luglio, circa 1 milione e mezzo di persone, pari al 2,5% della popolazione, hanno sviluppato gli anticorpi per il Sars-Cov-2. Tale prevalenza è superiore di circa 6 volte rispetto ai casi notificati, confermando che la prevalenza dei contagiati fosse sottostimata. Come anticipato, il dato che sorprende è che solo il 27,3% dei positivi era asintomatico, mentre ben il 66% dei positivi ha dichiarato di aver avuto i sintomi riconducibili al virus. In particolare, il numero stimato di persone con anticorpi Sars-Cov-2 e sintomi era pari a 981.000, mentre alla data del 27 luglio i contagiati totali registrati erano 246.000, cioè oltre 700.000 in meno. «Questa evidenza suggerisce l’importanza di presidiare con attenzione i luoghi dove è più facile la diffusione del contagio e l’urgenza di predisporre dispositivi, di comprovata efficacia, per l’effettuazione di test veloci alla popolazione» sottolinea Solipaca.

«L’esperienza fatta - rileva il professor Ricciardi - suggerisce la necessità di mettere in piedi un sistema di sorveglianza sanitaria in grado di intercettare e quindi attivare precocemente gli interventi più idonei per arginare crisi sanitarie come quella che stiamo vivendo. È necessario raccogliere il maggior numero di informazioni su eventi che possono segnalare un problema sanitario emergente e metterle a sistema con tutto il patrimonio informativo già disponibile. Per far questo si dovrà procedere speditamente con la digitalizzazione delle informazioni, un processo quanto mai auspicabile non solo per il settore della sanità ma per tutto il Paese». 

«In confronto a molti altri Paesi - conclude il professor Ricciardi - l’Italia si è dimostrata più efficace nella prevenzione del contagio, avendo fatto tesoro dell’esperienza vissuta nella prima parte della pandemia. Tuttavia, deve mantenere alta l’attenzione e intervenire con tempestività nei territori che mostrano un rialzo dei contagi».

SINTESI

Dati epidemiologici
La pandemia da coronavirus è entrata in una fase nuova, la diminuzione del numero dei contagi giornalieri osservati fino all’inizio dell’estate si è arrestata ed è iniziata una lenta ma significativa risalita dell’incidenza del Covid-19. 

Non è possibile stabilire con esattezza il riferimento temporale delle due fasi, per convenzione potremmo porre l’attenzione sul periodo che va dal 24 febbraio al 16 giugno e quella che dal 17 giugno arriva al 24 settembre, data ultima dei dati presentati.

Al 16 giugno i casi totali di persone positive erano 237.500 (pari allo 0,4% della popolazione), a fronte di 4.695.707 tamponi effettuati, corrispondenti a 2.891.846 persone (pari al 4,8% della popolazione). Il numero di decessi era pari a 34.405 (5,7 ogni 10.000 abitanti) e la letalità al 14,5% dei contagiati.

Dal 16 giugno al 24 settembre i casi totali sono aumentati a 304.323 (circa il 28% in più), i test effettuati 10.787.694, corrispondenti a 6.520.661 persone (circa il 126% in più). I decessi 35.781 (il 4% in più), la letalità scende all’11,8%.

Le due Regioni che nella prima fase della pandemia sono state colpite più violentemente dai contagi, nella seconda fase presentano un incremento mediamente più limitato dei nuovi contagi, si tratta di Lombardia e Piemonte, nelle quali l’aumento dei nuovi casi nel periodo considerato è, rispettivamente, del 14,6% e 11,5%. Al contrario, Sardegna, Campania, Lazio e Sicilia sono le regioni che stanno sperimentando un andamento preoccupante dei contagi giornalieri, come dimostrano gli incrementi più elevati rispetto al resto delle regioni, 154,2%, 140,7%, 90,8% e 83,8% rispettivamente. 

Riflessioni e analisi dei dati
Le riflessioni degli esperti dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, coordinato dal professor Walter Ricciardi, direttore dell’Osservatorio e Ordinario di Igiene generale e applicata all’Università Cattolica, e dal dottor Alessandro Solipaca, direttore scientifico dell’Osservatorio, suggeriscono che la fase che stiamo vivendo non sembra avere le stesse caratteristiche di quella precedente. 

L’aumento dei nuovi contagi iniziato durante l’estate, che ha fatto seguito al lento ma significativo declino della prima fase, non segue lo stesso andamento, la sua dinamica appare meno sostenuta di quella vissuta nella prima fase. Tuttavia, nel confronto tra i due periodi, va tenuto conto del fatto che i contagi sono stati registrati a partire dal 24 febbraio, ma non si può escludere che non ci fossero stati casi prima di questa data, pertanto potremmo non aver potuto apprezzare l’effettiva evoluzione iniziale della prima fase. 

La fase attuale è caratterizzata da contagi di persone mediamente più giovani, circostanza legata agli spostamenti per motivi turistici. Inoltre, la pronta reazione delle Istituzioni di fronte all’aumento dei contagi ha aumentato i controlli, soprattutto negli snodi dei trasporti (stazioni, porti e aeroporti in primis). Per questo motivo, in alcune Regioni, sono emersi un numero maggiore di casi, soprattutto di quelli asintomatici che in passato sfuggivano alla rilevazione. Tuttavia, l’aumento dei tamponi e delle persone sottoposte a test giustifica parte dell’incremento dei nuovi casi. La variazione del numero di persone testate è superiore a quella dei casi positivi, quindi questi ultimi crescono con un tasso inferiore a quella della prima fase. Fa eccezione la Sardegna dove le due variazioni sono molto simili, quindi il tasso di crescita dei nuovi contagi è analogo nei due periodi.

Con le dovute cautele, è possibile affermare che la diffusione del virus è più lenta che in passato. A tale proposito possiamo avanzare alcune ipotesi. I comportamenti degli italiani sono diventati più prudenti e seguono le indicazioni degli esperti, le regole sull’utilizzo delle mascherine e sul distanziamento sociale hanno avuto, in parte, l’efficacia attesa ed hanno permesso di contrastare il rischio connesso alla fine del periodo di lockdown.

Dal punto di vista del Servizio Sanitario Nazionale, il rallentamento dei contagi ha allentato la pressione sulle strutture sanitarie che sono riuscite a migliorare la gestione dei contagi, con meno ricorso all’ospedalizzazione e più all’isolamento fiduciario. Questo potrebbe aver ridotto i rischi di contagio nelle strutture ospedaliere, come è avvenuto nella prima fase.

L’esperienza che si è andata via via acquisendo, grazie anche all’impegno della comunità scientifica internazionale, alla circolazione delle informazioni sulle casistiche e sulle terapie, ha aumentato l’efficacia delle cure. Tale circostanza si accompagna anche a una minore complessità dei pazienti contagiati che sono mediamente più giovani di quelli osservati nella prima fase. Tale circostanza è confortata dalla diminuzione della letalità, passata dal 14,5% registrata fino al 16 giugno all’11,8% riscontrato al 24 settembre.

Infine, la crescita più lenta dei contagi può far supporre anche una minore aggressività del virus, ma si tratta di un’ipotesi che andrà verificata dalla comunità scientifica. 

Il dottor Alessandro Solipaca pone l’accento su un aspetto preoccupante avvenuto nella prima fase: «Sono state molto numerose le persone positive al Covid-19 non intercettate dal sistema di sorveglianza. Ciò ha favorito la circolazione di molte persone in grado di trasmettere il virus al resto della popolazione».

Questa riflessione si fonda sui dati dell’indagine campionaria, svolta dall’Istat in collaborazione con il Ministero della Salute e la Croce Rossa, pubblicati agli inizi di agosto, che ha stimato, attraverso test sierologici, il numero di contagiati al 27 luglio. 

Le stime pubblicate riferiscono che sono circa 1 milione e mezzo, pari al 2,5% della popolazione, le persone che hanno sviluppato gli anticorpi per il Sars-Cov-2. Tale prevalenza è superiore di circa 6 volte rispetto ai casi notificati, confermando quanto si era ipotizzato, cioè che la prevalenza dei contagiati fosse sottostimata. Come anticipato, il dato che sorprende è che solo il 27,3% dei positivi era asintomatico, mentre ben il 66% dei positivi ha dichiarato di aver avuto i sintomi riconducibili al virus.

In particolare, il numero stimato di persone con anticorpi Sars-Cov-2 e sintomi era pari a 981.000, mentre alla data del 27 luglio i contagiati totali registrati erano 246.000, cioè oltre 700.000 in meno. 

«L’esperienza fatta - sottolinea il professor Walter Ricciardi - suggerisce la necessità di mettere in piedi un sistema di sorveglianza sanitaria in grado di intercettare e quindi attivare precocemente gli interventi più idonei per arginare crisi sanitarie come quella che stiamo vivendo. È necessario raccogliere il maggior numero di informazioni su eventi che possono segnalare un problema sanitario emergente e metterle a sistema con tutto il patrimonio informativo già disponibile. Per far questo si dovrà procedere speditamente con la digitalizzazione delle informazioni, un processo quanto mai auspicabile non solo per il settore della sanità ma per tutto il Paese».