Il pensiero va al “dopo”, dopo essere stati toccati dal “prima”. Da quella pandemia che ha messo in discussione le nostre certezze e che ora ci costringe a rivedere i nostri schemi, sia quelli personali che quelli delle imprese. Di antropologia e impresa si è parlato durante l’incontro “Lo scandalo dell’imprevedibile. Ripensare le relazioni sociali ed economiche” organizzato da Alumni Cattolica e introdotto dal prorettore Antonella Sciarrone Alibrandi.

La pandemia ha colpito duramente il settore dell’editoria, ma c’è stata anche una reazione di qualità come ha spiegato Roberto Cicala, editore di Interlinea, filosofo e docente dell’Università Cattolica, chiamato a coordinare il dibattito. «Sono stati, infatti, ripescati numerosi libri che parlano di epidemia e di virus: quello ad esempio di Sylivia Browne “Cosa ci riserva il futuro”, di David Quammen “Spillover”, di Niccolò Ammaniti “Anna”, di Roberto Burioni “Virus. La grande sfida”. Durante il lockdown i social ci hanno reso più incerti, hanno giocato subdolamente sui nostri allarmismi e insicurezze, ora però è giunto il momento di razionalizzare questa emergenza e di riflettere sulle parole, non solo sui dati, che ci devono aiutare a vivere».

Ma come ha vissuto questo periodo di epidemia Silvano Petrosino, alumnus, filosofo e docente dell’Università Cattolica? Prendendo spunto dalla recente pubblicazione “Lo scandalo dell’imprevedibile”, Petrosino afferma che «l’epidemia che ci ha colpito si è manifestata con la violenza dell’imprevedibile» e ha colpito il “primo mondo”, quello non legato alla povertà, cioè nazioni ricche, arroganti, sicure della propria forza. Eppure prevedere e decidere il proprio benessere è oggi tra le condizioni principali della nostra società». 

Per poter comprendere e affrontare il “dopo” economico e sociale, all’interno della moltitudine di “verità” proposte dai media serve razionalizzare e riflettere - precisa Cicala - che chiede all’imprenditore Carlo Robiglio, alumnus e presidente di Piccola Industria, cosa ha significato per la piccola e media industria la pandemia da Coronvirus.

«All’imprevedibile ci eravamo ormai abituati, viste le crisi degli ultimi anni, ma quanto è successo è ancora più imprevedibile perché pensavamo che le epidemie appartenessero al passato. Questa incertezza per il futuro ora dobbiamo trasformarla in una grande opportunità, dimostrando capacità di resilienza, che sappia cambiare e costruire un nuovo modello d’impresa».

Cosa significa la parola “tempo” riferito all’epidemia e ai progetti dell’azienda? Petrosino parte da una distinzione fra futuro e avvenire; «L’uomo ha sempre cercato di prevedere il futuro, attraverso indovini, sciamani, profeti, etc, perché è finito e mortale, ma parliamo di un futuro del presente che è cambiato con lo sviluppo della scienza, attraverso le indagini di mercato. In questo modo pensiamo di prevedere il futuro, di programmarlo. Ma oltre il futuro c’è l’avvenire, ovvero ciò che non si può prevedere, come per esempio l’innamoramento. Anche l’economia non è una scienza esatta perché legata all’uomo e l’uomo è legato a un avvenire che non è il futuro. L’uomo deve progettare ma deve liberarsi della magia del progetto perché c’è dell’altro, c’è la vita». 

Ne è convinto anche Robiglio affermando che «è necessario riappropriarci del tempo per riuscire ancora a fare impresa e che bisogna mettere al centro la persona, le competenze, i saperi come nel Rinascimento; la persona è il vero driver dell’economia e ha bisogno di formazione continua. Prima c’era la finanza al centro della società, ora ci dovrà essere la persona. Solo così si riuscirà a costruire un’impresa che possa essere creatrice di valore».

Non la pensa così Petrosino perché concretamente le cose sono più complicate. «Abbiamo voglia di mettere la persona al centro dell’azienda? Dobbiamo sapere che la persona è un disastro, si ammala, non è competente, a volte è incapace, complessa. Concretamente la questione è più complicata. Per esempio si dice life is now in pubblicità, ma questa affermazione vale per la vita, il tempo umano è la storia e questa è fatta dalla memoria, dalla speranza, da passi sbagliati, di fallimenti, di tradimenti. Abbiamo voglia di dire storia che per me significa persona? Ma tutto questo riguarda l’umano e l’azienda è disposta ad accettare tutto questo?».

Dalla chat arriva una domanda su cosa possano mettere in campo i giovani. Per Petrosino l’avventura umana non è una passeggiata nei boschi, dobbiamo liberarci dall’idea del successo poiché l’uomo è chiamato a un compimento che non coincide con il successo, nemmeno quello professionale poiché il lavoro non coincide con la professione. Non dobbiamo cadere nella trappola di considerare il fallimento che è ciò che nella vita si incontra, che è una condizione, una obiezione alla vita. C’è in gioco molto di più. La persona umana è qualcosa di più grande che non ha a che fare con il successo, con il denaro. Un uomo è vivo quando condivide il dolore e la gioia degli altri, quando gode della natura; un uomo compiuto non è necessariamente un uomo di successo. Una vita di successi può essere un fallimento? Sì quando perdi l’umanità, altrimenti succede come al vecchio Santiago nel romanzo di Hemingway “Il vecchio e il mare” che quando raggiunge l’obiettivo ovvero la cattura del pesce, poi lo perde. Il problema è di restare uomini non di diventare primari o ordinari.