Un “rinascimento della consapevolezza” anche quando facciamo la spesa. Così definisce il tempo del dopo Covid il professor Sebastiano Grandi che, con i suoi studenti della laurea magistrale, ha condotto uno studio sui consumatori e sulle imprese industriali e commerciali del largo consumo da cui emergono alcuni insights interessanti sul “consumatore del futuro”. Ecco il suo profilo


di Sebastiano Grandi *

Stiamo vivendo forse la più radicale discontinuità dal secondo dopoguerra a oggi. Questo fenomeno non ha solo un impatto sulle modalità di gestione dell’emergenza sanitaria, sulle situazioni di convivenza civile, sul mercato del lavoro, sugli equilibri economici, sulla percezione della società e delle istituzioni ma anche sui comportamenti di acquisto e di consumo dei cittadini. Tali cambiamenti sono certamente stimolati da nuove regole di comportamento dettate dalle prescrizioni che di volta in volta sono contenute nei decreti ministeriali che vengono quasi quotidianamente pubblicati e/o aggiornati, ma sono destinati a modificare in modo strutturale i nostri stili di vita e anche di consumo. In particolare, soprattutto nel rapporto con i luoghi di vendita, si stanno delineando dei fenomeni interessanti.

Se da un lato, infatti, nelle cinque settimane immediatamente successive al lockdown del Paese, sono esplose le vendite alimentari on-line (+99,9%), dall’altro le persone sono “ritornate” ad acquistare nei negozi sotto-casa tanto che i punti di vendita di prossimità hanno registrato vendite record e un tasso di crescita del +24,9% (rispetto a una media del +17,2%). Questi comportamenti, certamente dovuti ai limiti alla circolazione imposti dai diversi DPCM, sono destinati a consolidarsi nel solco di una nuova epoca di pragmatismo di acquisto e di consumo che è connessa alla crescente consapevolezza della fragilità del nostro modello di vita. Questa consapevolezza potrebbe spingerci a sviluppare in prospettiva comportamenti complessivamente più semplici, caratterizzati da scelte di consumo più basiche e da valutazioni sui luoghi di vendita più razionali. 

Da un lato, infatti, nella stessa settimana di lockdown, i cittadini italiani hanno acquistato più lievito (+120%), più farine (+118%), più legumi (+88%), più carne in scatola (+64%) e più tonno (+336%), mentre hanno ridotto l’acquisto di spumanti (-10,2%), di aperitivi analcolici (-6,4%), energy drink (-6,1%) e di profumi (-34,4%) (dati IRI). 

Dall’altro lato, nella scelta del luogo di acquisto, si è delineato un dualismo tra il km0 (il negozio di quartiere) e il km 1.000 (il sito on-line per la spesa alimentare). La scoperta (o in qualche caso la riscoperta) di questi due modelli distributivi, apparentemente contrapposti, sarà una eredità che questa fase storica lascerà nel nostro modo di acquistare. Il sistema di percezione dei punti di vendita è infatti profondamente cambiato nelle ultime settimane. Da un lato l’e-commerce, che era visto da una parte importante della popolazione, come un canale “rischioso” (non c’è possibilità di scelta diretta dei prodotti, pagamento con carta di credito, problemi di consegna) è diventato il canale più sicuro, e dall’altro il negozio di quartiere, che era vissuto come una soluzione “punitiva” (meno assortimento, meno promozioni, etc.), oggi è considerato “la soluzione semplice e giusta” per la spesa alimentare. 

Gli studenti del corso di laurea magistrale in Food Marketing e Strategie Commerciali della facoltà di Economia e giurisprudenza, in collaborazione con Rem Lab (il Centro di Ricerche su Retailing e Trade Marketing) e Iri hanno realizzato uno studio molto consistente (oltre 200 pagine) sui consumatori e sulle imprese industriali e commerciali del largo consumo da cui emergono alcuni insights interessanti sul “consumatore del futuro”. Si tratterà di un consumatore/shopper che acquisterà maggiormente online (72%), che cercherà maggiormente prodotti “made in Italy” (78%), che acquisterà solo prodotti indispensabili (74%) e che sarà più attento alla pulizia dei luoghi e delle persone (86%). In definitiva lo shock del Covid19 ci restituirà uno shopper più razionale e consapevole. 

E probabilmente proprio in questo “rinascimento della consapevolezza” possiamo ricercare forse l’unico tratto positivo di questo terribile momento storico, in cui la paura della condivisione fisica spinge ciascuno di noi a vedere l’altro come un pericolo e un potenziale nemico da tenere a distanza perché può farci male. In definitiva, l’eredità che il Coronavirus lascerà alla nostra società e ai nostri comportamenti dipenderà dalla capacità di ciascuno di noi di trasformare la paura in desiderio di condivisione, la consapevolezza in coraggio e l’individualismo in senso di comunità.

* docente di Marketing internazionale, facoltà di Economia e giurisprudenza, campus di Piacenza