La giustizia riparativa come strumento di rieducazione, recupero, inclusione.  Colombo: «La giustizia non può essere vendetta. Chi è pericoloso per la società deve starne fuori, ma non si può calpestarne la dignità».

«Ero uno che le mandava in prigione le persone colpevoli di un reato, convinto fosse utile. Ma dopo 33 anni di magistratura ho cambiato opinione».

Parola di Gherardo Colombo, prima giudice, poi pubblico ministero in inchieste che hanno fatto la storia d’Italia, come la Loggia P2 o Mani Pulite ed ospite dell’Università Cattolica lo scorso 14 febbraio.

L’occasione un dibattito sul tema della giustizia promosso dal corso di laurea in Giurisprudenza,  che ha preso lo spunto dal libro “La tua giustizia non è la mia”, scritto a 4 mani da Colombo e Piercamillo Davigo: l’ex pm, stimolato dalle domande dei docenti della Cattolica Francesco Centonze, Pierpaolo Astorina, Antonio Chizzoniti e Giuseppe Rotolo, ha potuto esprimere un’idea di giustizia differente da quella maturata al termine del suo percorso di studi.

Una idea di giustizia orientata al recupero, all’inclusione, alla riparazione, «idea che si allontana da quella di vendetta e tortura diffusa in Italia».

«La risposta alla trasgressione dovrebbe essere individualizzata sulla base di ciò di cui ha bisogno la persona che ha commesso il reato: chi è pericoloso deve stare da un’altra parte, ma solo finché lo è. Non si può ipotizzare un’uguale risposta per tutti: nelle carceri oggi non viene rispettato il diritto allo spazio vitale, quello all’igiene o al lavoro, all’istruzione e all’affettività».

Colombo riprende la Costituzione ed i suoi principi, l’idea che le persone debbano preservare la propria dignità seppur colpevoli di aver commesso un reato.

«Il 70% dei carcerati – ha precisato - commette nuovamente un reato, una volta scontata la pena.La Costituzione avrebbe però un’intenzione ben diversa: la pena dovrebbe essere lo strumento per  riportare sulla retta via una persona, invece i fatti ci dimostrano che non è così. Io ho cambiato opinione durante la mia carriera professionale.

La giustizia, in un Paese come il nostro, oggi, dovrebbe essere riparazione, recupero, inclusione. Invece normalmente significa separazione, esclusione, abbandono. Chi va condannato va comunque rispettato – ha proseguito Colombo-, la sua dignità va conservata. E invece in Italia succede il contrario: chi commette il reato, secondo la gente, va maltrattato, deve soffrire tra le sbarre. Ma la giustizia non può essere vendetta, deve essere reintroduzione nella società dopo la pena».

Il risarcimento non si attua restituendo il male al male, ribadisce Colombo «In molti Paesi è applicata, in alternativa alla giustizia retributiva, quella riparativa, che è il suo opposto: un modello che prevede, con la presenza di esperti, un avvicinamento progressivo tra vittima e colpevole. È un percorso che si fa carico di riparare la vittima e di far assumere al condannato la piena responsabilità del suo gesto».