De-strumentalizzare la religione, ri-umanizzare i migranti e con loro creare uno spazio pubblico. Sono i concetti-chiave della ricerca multidisciplinare Migrazioni e Appartenenze Religiose che ha coinvolto una trentina di ricercatori – tra sociologi, filosofi, psicologi, giuristi, politologi, teologi – impegnati per un triennio. Un lavoro che ha l’obiettivo di restituire il giusto “spazio” alla dimensione religiosa nella comprensione e nella governance della mobilità umana e della convivenza interetnica e i cui risultati sono raccolti in un volume di oltre 800 pagine pubblicato in inglese da Brill (Migrants and Religion: Paths, Issues, and Lenses) e disponibile in open access: una scelta intesa a promuoverne la lettura anche oltre i confini del nostro Paese e che giunge in un momento cruciale del dibattito sul governo della mobilità umana e del diritto d’asilo, proprio mentre si discute in Commissione UE la riforma dell’Accordo di Dublino. La ricerca è stata presentata venerdì 25 settembre nell’ambito del convegno “La religione del migrante come sfida per la società e per la chiesa”, promosso dall’Università Cattolica in collaborazione con la Conferenza episcopale italiana. 

I migranti e il potenziale positivo della religione, la sintesi della ricerca

«I flussi migratori ci obbligano a fare i conti con l’intricata geografia religiosa di molti paesi e coi processi involutivi che hanno compromesso una tradizione di convivenza tra gruppi religiosi», afferma Laura Zanfrini, docente di Sociologia delle migrazioni e della convivenza interetnica all’Università Cattolica e direttore scientifico della ricerca “Migranti e appartenenze religiose”. Dunque, «il pluralismo religioso» rappresenta un «effetto inatteso del regime migratorio europeo».

Eppure attraverso analisi speculative ed evidenze empiriche, la ricerca documenta come la religione – spesso rappresentata come ostacolo all’integrazione e marcatore di distanza sociale – possa invece costituire per i migranti una risorsa di resilienza e sostegno identitario, e anche un veicolo di integrazione e coesione sociale, grazie in particolare alla mediazione della famiglia, delle organizzazioni di ispirazione religiosa e della scuola. A partire dalle testimonianze dei migranti che si sono lasciati alle spalle esperienze di persecuzione e conflitti su base religiosa, la ricerca offre spunti preziosi per riflettere sul confine sempre più discusso tra migrazioni forzate e volontarie “issue” centrale nell’agenda dei Paesi europei; ma anche per rafforzare la consapevolezza dei principi della libertà religiosa e del pluralismo religioso, oggi posti sotto attacco in molti paesi europei.

Sono tre gli elementi attraverso cui costruire un’etica dell’ospitalità e della convivenza: «De-strumentalizzare la religione, spesso ridotta a vessillo identitario o evocata nel quadro di una narrazione edulcorata che trascura la dimensione conflittuale inevitabilmente presente in ogni società pluralistica; riumanizzare i migranti restituendo ad essi la loro soggettività e il diritto di parola; creare uno spazio pubblico col contributo dei migranti e della religione attraverso quattro “parole chiave”: identità; libertà religiosa; cittadinanza; bene comune», spiega la professoressa Zanfrini.

Affinché si dispieghi il potenziale positivo della religione i ricercatori individuano alcune condizioni che chiamano in causa la responsabilità delle autorità di governo, del sistema di accoglienza, della scuola e delle stesse organizzazioni religiose. Tra queste: la disponibilità ad ascoltare i migranti e le loro storie, che ne fanno dei testimoni viventi dell’importanza dei diritti religiosi e del loro inscindibile legame con la libertà personale; il riconoscimento della dimensione religiosa e spirituale all’interno dei percorsi di accoglienza e di integrazione; il rispetto dei diritti religiosi (delle minoranze e della «maggioranza»), educazione al pluralismo religioso e al principio di laicità dello Stato; la creazione di solide reti di collaborazione tra autorità di governo e leader delle diverse confessioni religiose; il ripensamento del concetto di cittadinanza al di là delle incrostazioni nazionalistiche, nella direzione della cittadinanza agita e partecipata; la capacità di trasformare il pluralismo religioso dei contesti scolastici e di vita quotidiana in “palestra di cittadinanza”; la “ri-alfabetizzazione” religiosa delle nostre società, indispensabile per instaurare un autentico confronto con chi proviene da altre tradizioni religiose ed esige che esse siano riconosciute nello spazio pubblico; il riconoscimento di come la religione non sia solo un bene privato, ma anche un bene pubblico che apporta un contributo prezioso al benessere collettivo; l’integrazione della religione nel governo e nella governance delle migrazioni e della convivenza interetnica; la valorizzazione del dialogo interreligioso anche per l’individuazione dei principi condivisi che possano fondare una “etica globale”.

La religione dei migranti è una sfida per la società contemporanea eterogenea e globalizzata. Secondo lo studio della Cattolica è la strada attraverso cui l’Italia e l’Europa possono riscoprire e rivitalizzare l’essenza delle loro radici cristiane, di contro alla tendenza a ridurle a un vessillo identitario: occorre rifocalizzare l’attenzione sui valori (spesso condivisi anche dalle altre principali tradizioni religiose) e sulla necessità di inscriverli nella società, nelle sue principali istituzioni, nelle scelte attraverso le quali – come appunto avviene con le politiche di governo della mobilità umana – tali valori trovano espressione.