Lucia Dal NegroÈ la rappresentante italiana dell’Inclusive Business, un modello di sviluppo imprenditoriale che combina green economy e progetti sociali nei Paesi in via di sviluppo. Lucia Dal Negro (qui a lato e al centro nella foto in alto), trentenne veronese, è arrivata a questo traguardo, fondando una start-up a conclusione di un percorso condotto quasi interamente in Università Cattolica.

Dopo la laurea triennale nel 2006 alla facoltà di Scienze politiche e sociali in Relazioni Internazionali, indirizzo Cooperazione, con una tesi sul recupero della comunità di Srebrenica, e magistrale nel 2009, con focus sulle certificazioni di sostenibilità ambientale Nestlè-Nespresso in Costa Rica, ha frequentato un master di secondo livello in Sviluppo sostenibile all’Alta Scuola per l’Ambiente (Asa) nella sede di Brescia, con tesi di ricerca presso lo United Nations Environment Program (Unep)/Wuppertal Institute for Climate, Environment and Energy con sede in Germania. Per poi concludere con il dottorato in “Istituzioni e Politiche”, condotto insieme a un master in “Environment and Development” alla London School of Economics.

«Ho condotto la tesi di dottorato dopo un periodo di ricerca e relazioni con la comunità internazionale di esperti di business inclusivo, iniziato nel 2009 e poi portato avanti durante un’esperienza a Londra e a Berlino» afferma Lucia. «Dopo aver studiato i meccanismi istituzionali alla base di questi centri di progettazione, ho fondato il focal-point italiano (De-Lab) che all’epoca mancava. E quello è diventato il mio lavoro».

Così è nata la sua start-up. Cosa fa De-Lab? «Si tratta di un centro di progettazione e consulenza al servizio delle imprese profit che vogliono realizzare, potenziare, misurare e comunicare temi di business inclusivo o innovazione sociale senza perdere la loro identità profit, ma massimizzando le proprie risorse al fine di unire al ritorno di mercato impatti sociali ed ambientali. In sostanza, strutturiamo o potenziamo iniziative di ethical business senza fare filantropia, bensì legando tutti i progetti al core business aziendale. Lavoriamo con aziende di tutte le dimensioni perché il modello ci permette di essere flessibili ed egualmente innovativi, sia che si lavori con una Pmi che con una grossa azienda».

Cos’è l’Inclusive Business? «Si tratta di soluzioni di mercato (cioè attivate da attori profit, ossia imprese) sostenibili dal punto di vista sociale e ambientale, che vanno oltre il modello della filantropia per espandere l’accesso di beni, servizi e opportunità di sostentamento a comunità a basso reddito».

Da cosa nasce questa passione per il sociale? «Il campo sociale è molto creativo, ogni volta le soluzioni cambiano perché si rapportano a una società e a dei bisogni in continuo cambiamento. Tutto ciò è molto stimolante, ma bisogna essere consapevoli che ogni cosa va prima testata e verificata. Il rischio è quello di diffondere mode passeggere che non aiutano a sensibilizzare realmente il mondo profit, ma lo portano su strade che da solo non può percorrere, mettendo a rischio la reputazione del brand e la credibilità aziendale. C’è ancora molto sospetto attorno alle aziende profit che lavorano anche su temi sociali: non è consigliabile coinvolgerle, senza sapere esattamente come gestire tutti gli aspetti del loro operato, in un campo apparentemente sconosciuto».

Quali sono le difficoltà che ha incontrato a fondare una start-up in Italia? «Non ho termini di paragone non avendone mai create in altri Paesi. Immagino però che rispetto ad altri contesti ci siano pochi “maestri” disposti a rischiare su idee nuove, poca protezione per idee che necessitano dell’interazione di attori e di interessi diversi per funzionare e poca liquidità in assenza di qualche precedente incentivo istituzionale. Di conseguenza, la troppa “gavetta” uccide anche le idee migliori».   

Qual è il percorso da seguire per creare una start-up? «De-Lab non ha seguito l’iter classico. È nato come tesi di dottorato e poi è diventato una professione per me e i miei colleghi. Gli step importanti sono stati due: la definizione del modello di business e la creazione del team, per cui è stato fondamentale l’aiuto degli altri laboratori, che seguono il business inclusivo all’estero, e della rete. Infatti, De-Lab ha una sede a Milano e una a Verona ma alcuni dei miei colleghi lavorano e vivono altrove: questa flessibilità è premiante quando il team è affiatato e riesce a collaborare online. Ecco perché la cosa più importante è stata trovare colleghi e colleghe disposte a scommettere sulla mia idea. Il resto è passione (e studio)».