Un tempo era il bilancio d’esercizio. Oggi per certificare il “valore” di un’impresa e consolidare la sua reputation agli occhi di consumatori sempre più socialmente consapevoli serve di più. Misurare le performance sociali e ambientali costituisce per le aziende un ottimo biglietto da visita per far conoscere i propri comportamenti virtuosi in fatto di sostenibilità. A indagare la diffusione degli strumenti di rendicontazione delle prestazioni non finanziarie tra le imprese quotate in Borsa italiana ci ha provato l’Alta Scuola Impresa e Società (Altis) con un’indagine che ha coinvolto 64 aziende italiane. Una fotografia interessante che la dice lunga sul fatto che le grandi imprese scommettono sul cosiddetto shared value, il valore condiviso.

Stella Gubelli«Il 53% delle aziende intervistate rendiconta le proprie performance sociali e ambientali e, in tale processo, nel 74% dei casi sono coinvolti anche gli stakeholder, in particolare nell’identificazione di temi rilevanti contenuti nel report aziendale», racconta uno degli autori della ricerca, Stella Gubelli (nella foto), che in Università Cattolica insegna Economia aziendale e segue le attività di consulting di Altis. «Un buon modo per evitare l’autoreferenzialità e per comunicare informazioni su temi realmente cruciali anche per i portatori di interesse. Tra le questioni ritenute più rilevanti nell’ambito della rendicontazione spiccano: salute e sicurezza dei dipendenti, gestione dei rischi socio-ambientali e welfare aziendale».

Che vantaggi porta alle aziende il valore condiviso? «Tanto per cominciare, la possibilità di aumentare i ricavi: oggi il consumatore è sempre più attento non solo al prodotto, ma anche a chi e come lo produce: da qui l’importanza della reputation. Pensiamo a casi recenti: la cronaca frequentemente racconta di aziende la cui reputazione è compromessa per l’emergere di comportamenti lesivi di aspetti sociali (diritti umani, condizioni di lavoro) o ambientali. Ma c’è di più».

Cioè? «Il valore condiviso può favorire l’ingresso in nuovi settori produttivi, perché l’attenzione all’impatto socio-ambientale fa emergere idee imprenditoriali nuove. Ci sono diverse esperienze pratiche che lo dimostrano. Dal punto di vista scientifico e statistico non esiste ancora un’evidenza univoca, il dibattito è molto aperto. Il prossimo obiettivo della nostra ricerca è verificare questa correlazione e provare a misurarla».

Qual è lo strumento di rendicontazione extra-finanziaria più utilizzato? «Il Bilancio di sostenibilità, pubblicato dal 37% delle aziende mentre il Bilancio integrato è al momento scarsamente diffuso: solo l’8% delle aziende lo adopera».

Come mai? «Il Bilancio di sostenibilità viene percepito non solo come uno strumento di comunicazione, ma anche di gestione interna, perché crea consapevolezza, consente di mettere a sistema l’insieme delle attività sviluppate e valutarne i risultati economici-sociali e ambientali».

Eppure negli ultimi anni nell’ambito della Responsabilità sociale d’impresa (Csr) si sono sviluppati altri strumenti per rendicontare le politiche sociali e ambientali delle aziende. «Il Bilancio sociale è stato il primo a diffondersi, seguito da quello di sostenibilità, che rendiconta in più anche l’impatto ambientale ed economico. Ultima frontiera è il Bilancio integrato, che illustra come strategia, governance e prospettive di un’organizzazione consentano di creare valore nel breve, medio e lungo periodo. Tuttavia al momento è ancora poco diffuso. Anche se la ricerca Altis mostra come il 76% delle aziende rispondenti stia pensando di pubblicarlo».

Entro il 2016 tutti i Paesi membri dovranno recepire la direttiva UE 95/2014 che richiede la rendicontazione di indicatori extra-finanziari nei report annuali. Che implicazioni avrà? «La direttiva dovrà essere recepita dagli Stati entro il 6 dicembre 2016 e sarà vincolante a partire dal 2017. Renderà obbligatorio per le aziende di una determinata dimensione (sopra i 500 dipendenti), quotate in borsa e di interesse pubblico, la rendicontazione di indicatori che diano conto dell’impatto sociale e ambientale dell’azienda».

Il tutto avverrà all’interno del Bilancio di esercizio o sarà prevista la pubblicazione di un documento ulteriore? «Non è ancora chiaro. Certo nel primo caso è possibile che Bilancio di sostenibilità e integrato subiscano un contraccolpo, in termini di diffusione; mentre nel secondo potrebbero diventare gli strumenti maggiormente utilizzati».

Chi gestirà in azienda queste informazioni? «Se la misurazione di performance non finanziarie dovesse essere compresa nel Bilancio di esercizio, la responsabilità ultima spetterebbe ai direttori amministrativi. E si aprirebbe una forte domanda di formazione».