Le opinioni di élite di competenti non elette dal popolo incidono in tempo di pandemia sulle decisioni politiche: l’emergenza coronavirus ha ucciso la democrazia? Come spiega Antonio Campati, in uno dei saggi dell’ebook gratuito, curato da Damiano Palano e Raul Caruso, Il mondo fragile. Scenari globali dopo la pandemia (Vita e Pensiero) si è in realtà aperto un nuovo capitolo – di cui oggi sono state scritte solo le prime pagine – dell’antichissima relazione tra politica e competenza


di Antonio Campati *

Il mondo fragileDopo essere state a lungo denigrate, la crisi provocata dal Covid-19 ha riportato in auge le élite. La dimostrazione più evidente è la ricerca quasi ossessiva del parere degli esperti, che ogni giorno milioni di persone seguono in televisione o via social. Pendiamo dalle labbra di coloro che hanno studiato a lungo i virus, che possono avanzare, a ragion veduta, delle soluzioni per arrestare la pandemia e per farci tornare a vivere nell’agognata normalità. 

È un evidente cambio di tendenza. Negli ultimi anni, infatti, si è diffusa l’idea che le competenze sono sì importanti, ma il giudizio di tutti su un determinato tema lo è forse ancora di più, a maggior ragione se è possibile diffonderlo attraverso i social, dove si può interagire stando comodamente seduti sul leggendario divano di casa. Ma una simile conquista, figlia della rivoluzione tecnologica, sembra aver perso i suoi numerosissimi proseliti. Dalla democrazia del divano siamo piombati nella democrazia guidata da élite di competenti? 

L’interrogativo è chiaramente provocatorio. È indubbio, però, che l’emergenza sanitaria in atto a livello globale ha svelato (con tutto il suo carico di problematicità) un tema rimasto sottotraccia nel dibattito pubblico o trattato in maniera alquanto semplicistica: la necessità di usufruire del parere degli esperti per assumere decisioni politiche. Questa che oggi appare come una necessità inderogabile, fino a qualche settimana fa poteva essere bollata come un attacco al cuore della democrazia da parte di élite tecnocratiche, senza legittimazione e manovrate da chissà quale lobby occulta. 

In effetti, il governo per decidere chi deve essere indirizzato in terapia intensiva e chi può curarsi da casa; quali protocolli di sicurezza adottare per arrestare il contagio; o quale filiera produttiva mantenere attiva e quale, invece, sospendere immediatamente, ha dovuto e deve fare ricorso al parere degli esperti di ciascun settore, che non hanno nessun rapporto con il processo di legittimazione democratica, ma le cui decisioni influenzano profondamente la vita di tutti noi. 

Le opinioni di élite di competenti non elette dal popolo incidono persino sulla nostra libertà di movimento: l’emergenza coronavirus ha ucciso la democrazia? Si è in realtà aperto un nuovo capitolo – di cui oggi sono state scritte solo le prime pagine – dell’antichissima relazione tra politica e competenza. 

La domanda è sempre la stessa: occorrono particolari qualità per governare? In una democrazia liberale, la scelta di chi deve prendere le decisioni è regolata da un compromesso grazie al quale «pochi» sono legittimati a governare sui «molti» perché i primi vengono scelti attraverso libere elezioni e vincolati da una stabile architettura istituzionale. Non necessariamente gli eletti sono i migliori. Ma la garanzia che i rappresentanti possano essere sostituiti periodicamente ha garantito una pace sociale, indispensabile per il funzionamento di quella che chiamiamo la democrazia dei moderni. 

Già molto tempo prima della diffusione del coronavirus, tale compromesso è apparso in crisi profonda e una delle principali cause è proprio legata al fatto che l’idea che sia un’élite a decidere le sorti della società ha perso molto credito. 

Internet, infatti, ha plasmato l’illusione in base alla quale tutti possono partecipare equamente alla vita pubblica. Il Covid-19 ci ha invece aperto gli occhi sul fatto che la partecipazione di tutti è essenziale in una democrazia, ma che in alcuni momenti non tutti possono dire la loro. O meglio, non tutte le opinioni possono avere lo stesso valore. Specie nelle situazioni di emergenza, occorre il parere di persone competenti in determinati ambiti per indirizzare chi comanda (le élite al governo) nelle scelte da adottare, nelle decisioni da prendere. 

La riscoperta dell’importanza delle competenze non deve però portare a un rafforzamento di quell’ideologia del merito che ha pervaso il dibattito pubblico almeno nell’ultimo decennio. La meritocrazia – lo ha sottolineato Papa Francesco nell’incontro con il mondo del lavoro all’Ilva di Genova – affascina molto perché usa una parola bella, merito, ma la strumentalizza e quindi la snatura dal momento che non interpreta i talenti delle persone come un dono. Dobbiamo essere orgogliosi dei talenti che abbiamo ricevuto e metterli al servizio di una società che deve essere capace di apprezzarli.  

* ricercatore in Filosofia politica, facoltà di Scienze politiche e sociali, campus di Milano