di Federica Boga *

Tra il dire e il fare, c’è di mezzo il mare. Nel mio caso, un vero e proprio oceano. Ci ho messo un anno a concretizzare il mio desiderio di un progetto di studio all’estero negli Stati Uniti. E alla fine ce l’ho fatta grazie al programma Overseas.

Quando ho saputo di essere stata selezionata, oltretutto per la mia prima scelta nella graduatoria delle università, non mi sembrava vero. Destinazione: Loyola University New Orleans, Louisiana (USA). Giusto qualche mese per sbrigare le pratiche burocratiche, finire gli esami in Italia, preparare la valigia, salutare tutte le persone care e in un attimo mi sono ritrovata sull’aereo con la testa rivolta verso il finestrino. Sono tanti i pensieri che hanno attraversato la mia mente in quei momenti, soprattutto perché le difficoltà non sono mancate, dato che ci ho messo quattro giorni ad arrivare a causa del maltempo. Ma ce l’ho fatta e ora la ricordo con un sorriso, come la prima di tante avventure che avrei vissuto.

New Orleans non è la prima meta che viene in mente quando si pensa agli States ma sicuramente è unica nel suo genere e inimitabilmente affascinante. Rappresenta una delle città più ricche dal punto di vista storico e culturale: un gioiello tra le paludi della Louisiana in cui si fondono diverse culture, buon cibo e ottima musica.

Situata alla foce del fiume Mississippi e affacciata sul golfo del Messico è stata per molto tempo un importante porto, non solo per la commercializzazione delle merci ma anche, purtroppo, per la tratta degli schiavi. Per questo eredita ancora oggi aspetti della cultura francese, spagnola e africana che si riflettono nell’architettura, nei piatti tipici e nella musica. Basti pensare al pittoresco quartiere francese, caratterizzato da balconate decorate in ferro battuto e da coorti nelle quali è possibile assaporare i piatti della “creole cousine” (Jambalaya, gumbo, ostriche e gamberi, tanto per citarne alcuni), con in sottofondo diversi generi musicali, tra cui ovviamente il Jazz, nato proprio nel cuore di New Orleans e diffusosi poi in tutto in mondo.

Durante la mia permanenza è stato impossibile non essere coinvolta nei ritmi e nelle festose tradizioni della città. La più nota è sicuramente la celebrazione del carnevale, durata sei settimane e culminata, al termine, nel vero e proprio “Mardi Gras”: un trionfo di colori e musica, con parate di carri elaborati dai quali venivano lanciati gadget di ogni genere.

A New Orleans ogni occasione è buona per far festa tutto l’anno e non me ne sono lasciata scappare una: dalle caratteristiche parate chiamate “Second-line” (nate originariamente come rituali funebri) a quelle per commemorare Martin Luther King o per festeggiare San Patrizio, dai mercatini artigianali agli eventi sportivi, dalla festa del quartiere francese al “King Cake” Festival, e, infine, l’evento per eccellenza per gli amanti della musica: il Jazz Fest.

Non basterebbe un libro intero per descrivere l’atmosfera di gioia e accoglienza che ho ricevuto in cinque mesi, non solo negli incontri casuali con persone sul tram, al parco o in un pub, disponibili a confidarmi esperienze di vita, storie personali e punti di vista ma anche, e soprattutto, dall’ambiente ospitale e stimolante che ho trovato nel Campus universitario.

La Loyola University è piuttosto piccola e proprio per questo da subito sono riuscita a orientarmi, prendere parte alle iniziative e condividerne i valori. Fin dal primo giorno di lezione è stato chiaro che mi sarei dovuta adattare a un nuovo metodo di insegnamento, a un nuovo approccio ai contenuti e, soprattutto, alla persona.

Gran parte del contributo alla lezione è fornita dagli studenti attraverso discussioni, confronti e lavori di gruppo, le scadenze sono pressoché giornaliere e vi è un costante stimolo alla conoscenza e all’approfondimento delle proprie competenze e dei propri talenti.

La voglia di condividere il proprio tempo e le proprie emozioni, il desiderio di conoscersi e confrontarsi, la volontà di vivere al meglio questa esperienza sono state per me il vero linguaggio universale con cui sento di aver dialogato in cinque mesi (oltre che un pizzico di inglese!).

Dopo essere rientrata in Italia, in tanti mi hanno chiesto qual è la cosa che mi è piaciuta di più o ciò che ritengo sia stato più significativo. Posso solo affermare che cosa mi sta mancando di più da quando sono rientrata: il “mood”. Comun denominatore della mia esperienza di studio all’estero è stato lo spirito di apertura, positività, indipendenza e intraprendenza con cui ho affrontato ogni situazione.

Partire per un’esperienza da studente Exchange non significa solamente vivere cinque mesi in un altro Stato: significa vivere a pieno la propria vita come non si è mai fatto fino a quel momento e tornare a casa, cambiati, con la voglia di ripescare dal proprio zainetto tutto ciò che si è visto, imparato e vissuto.

* 23 anni, di Cormano (Mi), primo anno del corso di Laurea Magistrale, Management per l'Impresa, facoltà di Economia, campus di Milano. Nella foto la seconda da sinistra