L’hate speech non accenna a diminuire. Lo riscontra una recente ricerca dal titolo “Quali retoriche e forme d’odio ci sono nell’associazione ebrei e coronavirus?”. Svolto dall’Osservatorio Mediavox e dal Centro di ricerca sulle Relazioni interculturali dell’Università Cattolica, lo studio ha analizzato tra l’1 marzo e il 31 maggio 900 tweet scelti casualmente tra tutti quelli scaricati e classificati manualmente da esperti di antisemitismo. Il 16,3% dei tweet conteneva messaggi di odio verso Israele.

Abbiamo chiesto un approfondimento sull’indagine a Milena Santerini, pedagogista dell’Ateneo, direttrice di Mediavox e coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo.

Cosa emerge con maggiore forza dai dati che avete analizzato? «L’odio che si percepisce nei tweet è un odio irrazionale, incoerente. Non possiamo più parlare dell’odio di classica matrice nazista contro la razza, piuttosto emerge un’ostilità in forme nuove contro il potere economico e finanziario, delle grandi banche. Il nemico che un tempo era rappresentato dalla famiglia dei Rothschild, dal “grande vecchio” e dall’occulto, oggi è incarnato da George Soros accusato di favorire gli immigrati e dalle grandi banche che “si servono” dell’Europa».

Si può dire che si tratti di un odio legato alla crisi economica? «Sì, un po’ come avviene con le malattie che insorgono quando il sistema immunitario è indebolito, questo tipo di antisemitismo sembra essere associato alle crisi economiche. Non riuscendo a gestire una situazione complessa che ha a che fare con la globalizzazione, la personalità debole, insicura, spaesata di fronte a un mondo che non controlla cerca un nemico, un bersaglio su cui riversare il proprio odio». 

Il 16,3% dei post analizzati ha un contenuto di odio, ma come si caratterizza questa ostilità? «La percentuale corrisponde a 147 tweet. Innanzitutto è considerevole l’ordine temporale dei post perchè abbiamo notato che il numero dei tweet è decrescente nei mesi presi in considerazione (487 tweet pubblicati nel mese di marzo, 303 in aprile e 110 a maggio). E lo stesso andamento ce l’hanno i tweet che sono stati classificati come contenuti di odio (66 nel mese di marzo, 56 nel mese di aprile e 25 nel mese di maggio). Analizzando le retoriche dei 147 tweet il 59% è stato classificato come “pregiudizio”, all’11% è stata assegnata la retorica “insulti” e al 10% “concorrenza”. Le altre retoriche sono la minoranza (derisione/ ironia, esclusione/ separazione, disumanizzazione, umiliazione/ disprezzo, paura, incitamento/ violenza). 

Considerando invece le forme antisemite il 74% dei tweet afferma il potere ebraico sulla finanza (accusare gli ebrei come singoli o collettività di avere il controllo della finanza mondiale, dei media, delle banche, dell’economia, del governo o di altre istituzioni); il 9% è considerato una forma di antisionismo, ossia l’odio verso lo Stato di Israele;  e le altre forme sono minoritarie (incitare, sostenere o giustificare l‘uccisione degli ebrei o danni contro gli ebrei in nome di un’ideologia radicale o di estremismo religioso, l’antigiudaismo che accusa gli ebrei di deicidio, il neonazismo e il negazionismo della Shoah)».

Come mai avete scelto di condurre la ricerca solo attraverso l’analisi dei tweet? «Twitter è l’unica piattaforma social che permette di fare ricerche approfondite e scaricare i post. Più in generale non esistono buone metodologie di rilevazione dell’odio online. Per le forme di ostilità e razzismi utilizziamo un sistema basato sui sondaggi o sulla raccolta di segnalazioni. Per l’online, invece, ci si basa di solito sulle segnalazioni di attivisti che operano ad esempio sui blog, ma dobbiamo ancora sviluppare forme di ricerca vere e proprie. La difficoltà sta nella distinzione tra il messaggio di odio (e forme di ostilità) e la semplice libertà di espressione».

Che tipo di metodologia avete utilizzato in questo studio? «Abbiamo usato due metodi: la rilevazione generale delle segnalazioni e quella più specifica della comunità ebraica. Per l’analisi dei termini scelti che vedeva l’associazione di “ebrei” e “virus” non ci si poteva basare sugli algoritmi perchè questi non sono in grado di trovare i contenuti d’odio. Per esempio cercando solo gli insulti si rischia di omettere tutti ‘messaggi d’odio che non vengono veicolati tramite insulti espliciti. Viceversa l’identificazione di un messaggio sarcastico non sempre è indirizzato contro gli ebrei “complottisti” o “cospiratori” ma può essere che lo stesso ebreo indirizzi l’ironia verso i cosiddetti complottisti. Ecco perché è stato necessario avere degli esperti che leggessero e interpretassero ogni singolo tweet».

Il problema dell’odio religioso resta dunque vivo e presente nella realtà virtuale. E se di fronte all’incitamento alla violenza si può intervenire legalmente, tutte le restanti espressioni riconducibili all’odio sono affidate a un lavoro di tipo culturale che richiede tempo, strategie e risorse.