I fenomeni migratori sono una realtà del nostro tempo ma sono spesso affrontati in modo troppo semplificativo. Si fa attenzione alla gestione dell’emergenzialità oppure al tema della natalità per correggere l’inverno demografico dell’Italia, o ancora al welfare o all’importanza dei lavoratori stranieri per garantire il pagamento delle pensioni ai futuri pensionati anche italiani. Senza parlare dei sentimenti di diffidenza, pregiudizio, paura e talvolta odio frutto anche delle strumentalizzazioni politiche.

Eppure l’universo delle migrazioni, con tutto il bagaglio di voci, storie e vicende biografiche dei migranti coinvolti in prima persona, rappresenta uno dei temi più interessanti, strategici, arricchenti e complessi di questo tempo, in grado di cambiare l’assetto delle società come noi le conosciamo e meritevole di approfondimenti plurimi nei settori del diritto internazionale, della sociologia, della geografia politica, della storia della cultura e delle religioni.

Aspetti ampiamente portati alla luce dallo studio “Migrazioni e appartenenze religiose”, finanziato e realizzato dall’Università Cattolica. Sociologi, psicologi, filosofi, giuristi, politologi, teologi oltre che storici: la ricerca multisituata ha preso in considerazione le aree italiana e dell’oriente, confrontate anche col panorama europeo, prendendo in esame l’arco temporale dal 2016 al 2018 dal punto di vista del ripensamento delle procedure di protezione internazionali, della governance nelle politiche contemporanee e del tema pastorale nelle politiche d’integrazione dei migranti.

«La ricerca ha permesso di comprendere il ruolo che la religione ha nella nostra società e a livello dell’identità espressa tanto nelle politiche migratorie quanto nella sfera pubblica» fa notare la coordinatrice dello studio e docente di sociologia delle migrazioni Laura Zanfrini. «Il pluralismo religioso, infatti, fa parte di una narrazione che valorizza sì il potenziale generativo in termini di arricchimento generato dal confronto ma mette anche in discussione le basi della nostra società e il dato identitario delle nazioni europee, a oggi basato sull’illusione di una omogeneità linguistica e culturale. La percezione di una minaccia in questo senso è tanto più forte quanto più povero e vulnerabile è il popolo proveniente da un contesto geografico caratterizzato da turbolenze religiose».

Secondo Simone Varisco, storico della Chiesa, saggista e curatore del Rapporto Immigrazione Caritas-Fondazione Migrantes, «spesso ci chiediamo come la mobilità cambi le società migranti; meno spesso, invece, ci chiediamo come il fenomeno cambi noi stanziali, società accogliente. Al di là dei numeri, sono molto importanti le chiavi di lettura. Quest’anno abbiamo riportato l’attenzione sull’argomento con un viaggio nel mondo della mobilità vissuta dalle tre maggiori comunità italiane d’accoglienza, quella cattolica, ortodossa e islamica. Ne emerge un disegno dove la fede è vista come elemento aggregativo e di rifugio, mente le religioni mutano sulla scorta del confronto con un contesto multietnico».

Lo ha visto coi propri occhi Oliviero Forti, responsabile politiche migratorie della Caritas Italiana in oltre 25 anni di lavoro sul campo. «I rifugiati spesso si aggrappano al motivo religioso sperando che possa essere preso in considerazione dal Paese accogliente, ma spesso hanno un’immagine falsata dell’Italia. La realtà è che ancora troppo spesso luoghi di culto come le moschee sono collocati in aree marginali e di periferia, contribuendo così ad alimentare stereotipi e la percezione delle religioni come qualcosa di ostile o folkloristico quando invece sono un aspetto strategico su cui lavorare».

Il tutto accade sullo sfondo di una società europea sempre più secolarizzata, come sostiene Monica Martinelli, docente di sociologia in Università Cattolica. «Il tema dei migranti si colloca in un momento di profondo mutamento del fenomeno religioso, in cui la religione non è del tutto scomparsa dalla scena moderna ma appare sicuramente in crisi». A dispetto dell’invasione islamica paventata dagli slogan politici, i dati riportano come i 3/4 degli europei si dichiarino religiosi, il 70% si senta cristiano ma solo il 22% si dichiari praticante. «Questioni spinose come la convivenza di culture e tradizioni diverse rischiano di degenerare, collassando poi in discorsi religiosi. La religione è spesso sottoposta a pressioni incrociate provenienti da fonti che hanno nulla a che vedere con la religiosità».

Se guardiamo il tema delle migrazioni e della libertà religiosa da punto di vista del diritto internazionale possiamo dire che «il concetto di persecuzione religiosa è uno dei maggiori fattori di spinta del fenomeno migratorio». È il pensiero di Monica Spatti, docente di Diritto dell’Unione Europea alla Cattolica. «Le forme di protezione giuridica di cui possono godere queste persone discendono da obblighi di carattere internazionale e lo status maggiormente richiesto è quello di rifugiato politico, il che presuppone un atto persecutorio che lede i diritti di dignità o la libertà di culto della persona».

E se osservare le falle del sistema di accoglienza e asilo dell’Unione Europea può risultare abbastanza semplice, soprattutto dopo le evidenze dal 2015 a oggi, più difficile risulta capire le ragioni di questa radicale impreparazione nel gestire la tragedia di chi scappa da miseria e violenza. «Un sintomo di questa inadeguatezza è la sostanziale sottovalutazione della rilevanza della dimensione esperienziale che le appartenenze religiose rivestono» spiega Paolo Gomarasca, docente di Filosofia morale che nella ricerca di Ateneo si è occupato di delineare il tema dell’etica dell’ospitalità nell’Europa post-secolarizzata. «La religione o è strumentalizzata politicamente o è ignorata, mentre noi abbiamo dimostrato quanto è importante la questione biografica per comprendere, inquadrare e intervenire al meglio rispetto al fenomeno».