«Dal Coronavirus il 95% delle persone guarisce, ora occorre ridimensionare l’allarme e porre grande attenzione sul 5%»: è quanto afferma il professor Walter Ricciardi, docente di Igiene alla facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, che abbiamo incontrato nella aule dell’Ateneo, in una pausa fra i numerosi impegni di questi giorni, che lo vedono costantemente impegnato nel nuovo ruolo di consigliere del ministro della Salute per il coordinamento con le istituzioni sanitarie internazionali nonché in quello, guadagnato sul campo, di una delle figure-chiave della corretta informazione alla popolazione attraverso i media.

Professore, da una settimana anche l’Italia conosce da vicino gli effetti del Coronavirus. Dopo una prima fase di incertezza e timore, stiamo imparando tutti buone prassi e norme di prevenzione. Ad oggi, qual è la situazione nel nostro Paese? «Lo sforzo di responsabilità collettiva sta pagando in termini di contenimento del rischio epidemia: finché anche i cittadini collaborano coesi con le autorità, con gli operatori sanitari e nel rispetto delle regole, potremo uscire da questa situazione di emergenza. Di certo, la frammentazione regionale non ha aiutato e ha comportato la perdita di evidenza scientifica. Ma il Paese sta affrontando la prova: quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità lancia un allarme globale, tutti i Paesi devono adottare misure secondo linee guida scientifiche e l’Italia le ha adottate».
 
Dallo scorso 24 febbraio lei è il consigliere del ministro Speranza per il coordinamento con le istituzioni sanitarie internazionali: dal suo punto di osservazione quali sono le misure allo studio affinché sia reale ed efficace la collaborazione fra tutti gli Enti interessati? «È ormai evidente che una delle debolezze del sistema è stata la mancanza di una linea di comando unica e condivisa. Fin dallo scorso lunedì, insieme al ministro e a tutte le persone che hanno responsabilità nazionali, europee e intercontinentali, abbiamo creato tavoli di lavoro comuni e coordinati. Ora è importante anche una comunicazione, non solo un’azione, che sia reale, evidence-based e non allarmistica per tutti i cittadini, affinché le necessarie misure di contenimento, prevenzione e intervento non si trasformino davvero in psicosi e paura».
 
L’Università Cattolica, collegata al Policlinico Universitario Agostino Gemelli, ha da subito adottato misure di precauzione e prevenzione relativamente alla comunità universitaria. Qual è la situazione generale degli ospedali italiani e quali le misure consigliate per i prossimi giorni, a livello locale e nazionale? «È fondamentale, lo ribadisco, che tutti si muovano uniti. Va seguito un protocollo rigoroso su una linea unitaria di intervento. Dopo una gestione non uniforme dei primi casi ora tutte le aziende sanitarie e gli operatori debbono rispettare anzitutto quanto dispone l’Organizzazione Mondiale della Sanità e, quindi, le autorità nazionali».
 
Nei suoi diversi ruoli di responsabilità, anche di professore universitario e di ricercatore, come per esempio la guida dell’Horizon Europe Mission Board for Cancer, ha una visione certamente globale delle azioni coordinate e delle strategie da adottare: può essere anche questo un compito educativo e di Terza Missione di un’Università? «Questo è esattamente il momento in cui tutte le missioni si uniscono: occorre più che mai il concorso di tutte le competenze, di tutte le responsabilità, in un grande gioco di squadra. È  certo che un docente universitario deve porre a servizio della comunità il proprio sapere costruito in tanti anni di studio, esperienza e ricerca, a servizio di tutti e, in primis, a servizio e nell’insegnamento non solo della teoria, ma della sua pratica e corretta applicazione ai nostri studenti».