di Michele Massa *

E così il Parlamento ha approvato il taglio dei parlamentari. Più precisamente, la Camera ha approvato in seconda lettura la proposta di legge costituzionale, che anche il Senato ha già approvato due volte, in materia di riduzione del numero dei parlamentari.

La proposta tocca gli artt. 56, 57 e 59 Cost.: riduce i deputati da 630 a 400 (di cui non più 12, ma solo 8 eletti nella circoscrizione estero) e i senatori da 315 a 200 (di cui non più 6, ma solo 4 eletti nella circoscrizione estero).

Inoltre, diminuisce da 7 a 3 il numero minimo di senatori eletti nel territorio di ciascuna Regione (o Provincia autonoma, si aggiunge); e chiarisce che i senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica possono essere al massimo cinque in ciascun momento.

Cosa succede adesso?

Poiché in seconda lettura al Senato era stata raggiunta la maggioranza assoluta, ma non quella dei due terzi, per ora la riforma non sarà promulgata come legge costituzionale, ma solo pubblicata nella Gazzetta Ufficiale a fini informativi. Inizierà così a decorrere il termine di tre mesi entro il quale un quinto dei componenti di ciascuna Camera, cinque Consigli regionali o 500 mila elettori potranno chiedere il referendum di cui all’art. 138 Cost., che affiderebbe agli elettori la decisione definitiva se approvare o no la proposta di revisione. Qualora il referendum non fosse richiesto, oppure nelle urne i sì superassero i no, la riforma verrebbe promulgata e diventerebbe applicabile dalla prima tornata elettorale utile (comunque non prima di 60 giorni).
Al momento, il largo consenso raggiunto alla Camera (553 sì, 14 contrari e 2 astenuti) fa dubitare che iniziative referendarie arrivino dal mondo politico.

Ma non è in discussione solo il numero dei parlamentari.

Infatti, in questi stessi giorni i capigruppo della attuale maggioranza hanno elaborato un documento con altri impegni di riforma: progettare una nuova legge per l’elezione di Camera e Senato; parificare le età per l’elettorato attivo e passivo delle due Camere; ridurre il peso dei delegati regionali che, attualmente, si uniscono al Parlamento in seduta comune per l’elezione del Presidente della Repubblica; adattare i regolamenti parlamentari alla minore consistenza delle due Camere e dare maggiore certezza ai tempi del procedimento legislativo. Si parla anche di avviare un percorso verso altri interventi costituzionali ancora, per adesso assai vaghi nei contenuti, in merito al rapporto di fiducia tra il Governo e le Camere, nonché al ruolo di queste ultime e delle Regioni nell’attuazione della cd. autonomia differenziata.

Come valutare tutto ciò?

Questa riforma è stata portata avanti con forza dal Movimento 5 Stelle, che ne ha fatto una bandiera, all’insegna dello slogan di “tagliare le poltrone”. Le altre componenti della maggioranza, sinora critiche, si sono adattate a questa condizione, imposta per dare vita al nuovo Governo. In termini economici i risparmi sono simbolici: 285 milioni a legislatura, o 57 milioni all’anno, pari allo 0,007% della spesa pubblica (come spiegato dall’Osservatorio sui conti pubblici italiani del nostro Ateneo). 

In termini istituzionali l’impatto sarà più significativo e ramificato. Il rapporto tra elettori ed eletti diventerà il più elevato a livello europeo. Il sistema elettorale sarà più selettivo, avendo meno seggi da distribuire; non è detto però che aumentino la solidità e la stabilità delle compagini elettorali: le scissioni possono avvenire anche dopo le elezioni. Ci saranno conseguenze sull’operatività delle Camere, il cui funzionamento dovrà essere adattato al minor numero di deputati e senatori. All’interno dei partiti, difficile dire se la riforma favorirà i singoli parlamentari, resi più autorevoli dalla maggiore ampiezza dei loro collegi elettorali; oppure le segreterie, che gestiranno un numero più ristretto di candidature da distribuire. Di sicuro oggi si compie un passaggio senza precedenti nella storia della Repubblica: tagli di simili proporzioni non sono mai stati realizzati; sono stati bensì proposti, ma senza successo e comunque nel contesto di riforme più ampie.

In effetti, la maggior parte delle ulteriori riforme, profilate nel documento citato sopra, dovrebbero servire proprio ad attutire i contraccolpi istituzionali del taglio dei parlamentari. Solo che queste riforme dovrebbero prendere forma in ordine sparso: e ciò sia perché alcune sono già in cammino, altre no; sia perché devono seguire percorsi diversi (legislativi, regolamentari, costituzionali); sia per la preferenza, maturata dagli stessi fautori del taglio, per riforme costituzionali punto per punto, non organiche.

Insomma, per conseguire un risultato prevalentemente simbolico, si mette mano a una parte della Costituzione, sapendo che la riforma avrà effetti più ampi, ma limitandosi per a poche e nebulose battute su come saranno affrontati. È una asimmetria vistosa e preoccupante.

Nessuno può dire ora se il cammino, che – forse – si riuscirà a compiere nei prossimi mesi, porterà a scenari più confortanti.

* docente di Istituzioni di diritto pubblico, facoltà di Economia, sede di Milano