Quando si parla di “traffico” si pensa immediatamente ai molteplici problemi e alle difficoltà che assillano le nostre città: problemi gestionali, organizzativi, amministrativi, preoccupazioni per le ricadute ambientali e di vivibilità, rischi per l’incolumità e la salute. Di pari passo, cresce l’attenzione e aumentano le proposte per arginare le criticità. E un posto rilevante occupa la psicologia.
 
«La Psicologia del traffico, in quanto branca della disciplina che si occupa del comportamento degli utenti della strada e dei processi psicologici a esso sottostanti, può fornire conoscenze in merito al “fattore umano”, utili sia per leggere i fenomeni in gioco, sia per progettare e realizzare interventi di valutazione, formazione, educazione, ma anche progettazione delle infrastrutture e ricostruzione dell’utilizzo dell’ambiente stradale o dei sinistri» spiega Federica Biassoni, coordinatrice del Corso di Perfezionamento in Psicologia del Traffico e membro dell’Unità di ricerca dell’Ateneo sullo stesso tema, diretti da Maria Rita Ciceri

Come si concretizzano gli interventi? «Esistono diversi strumenti: questionari per analizzare il comportamento individuale e collettivo dei soggetti coinvolti nel traffico stradale (conducenti di veicoli, pedoni), la loro interazione reciproca e con i sistemi e i servizi legati alla sicurezza; simulazioni e indagini, come quella su sicurezza e sostenibilità riferite al car-sharing, fenomeno che porta con se’ una nuova concezione dell’auto, e relativi nuovi comportamenti e bisogni; iniziative di formazione e sensibilizzazione nelle scuole, solo per fare qualche esempio». 

Un campo di studio ampio… «Quello della mobilità è un tema importante a livello internazionale, al centro di progetti europei che ci coinvolgono come Università (vedi Simusafe). Gli studi sul campo sono fondamentali per comprendere e migliorare l’esperienza quotidiana di tutti noi e promuovere una cultura civica responsabile». 

La città di Milano ha da poco adottato un nuovo provvedimento (la cosiddetta Area B) per abbattere le polveri inquinanti e migliorare la qualità urbana introducendo limitazioni all’uso dell’automobile. Come può essere percepito? «Il “diritto alla mobilità” investe diversi livelli psicologici della persona, quali il senso di libertà, autonomia ed autoefficacia, ma va d’altra parte integrato con il diritto alla sicurezza e alla sostenibilità del sistema all’interno del quale si vive. Per queste ragioni tali interventi possono rivestire una grande complessità nella comunicazione con i cittadini».

L’Università ha istituito nel 2007 una specifica Unità per la Psicologia del Traffico, con attività di ricerca e formazione, tra cui un corso di Perfezionamento dedicato: quali sono le finalità e quali i risultati che si ottengono con una preparazione mirata in questo campo? «L’Unità di Ricerca in Psicologia del Traffico opera fin dalle sue origini in sinergia multidisciplinare con le altre professionalità coinvolte nel settore della sicurezza stradale (forze dell’ordine, insegnanti e formatori, periti ricostruttori, medici delle Commissioni Locali Patenti) fornendo un contributo di conoscenze e intervento sul fattore umano, terzo polo del sistema traffico insieme ai veicoli e alle infrastrutture. 

E il corso? Gli psicologi che si specializzano con il Corso di perfezionamento, unico in Italia, saranno in grado di operare in diversi ambiti: dalla formazione degli utenti della strada, al supporto ad aziende ed enti pubblici nell’area del mobility management e degli interventi per la sostenibilità; dalla valutazione, empowerment e diagnosi dei requisiti psicologici alla guida, agli interventi sulle infrastrutture, ai percorsi di trattamento e accompagnamento in situazioni di trauma post-incidente».