Pubblichiamo il testo integrale del discorso inaugurale che il rettore dell'Università Cattolica Franco Anelli ha tenuto ini apertura del Dies Academicus della sede di Roma giovedì 23 gennaio 2019


di Franco Anelli *

Eminenza Rev.ma, Card. Gualtiero Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana,
Eminenze Rev.me, Card. Angelo Becciu e Card. Marc Ouellet,
Signora Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Prof.ssa Elena Bonetti,
Eccellenza Rev.ma, Mons. Claudio Giuliodori e Rev.mo Mons. Luigi Mistò, Coordinatore della Segreteria per l’Economia Città del Vaticano.
Magnifici Rettori e loro rappresentanti
Autorità religiose, civili, militari
Cari colleghi e cari studenti,

a tutti porgo il più cordiale saluto dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e il mio personale.

1. Dando voce a un sentimento generale, esprimo la sentita riconoscenza dell’intera famiglia universitaria al Card. Gualtiero Bassetti per avere accolto l’invito a presiedere la celebrazione eucaristica che ha aperto questa giornata.
Le siamo altresì grati, Eminenza, per le parole che ha voluto rivolgere a questa assemblea. La Sua presenza ci onora e rinsalda il legame essenziale che unisce questo Ateneo alla Chiesa italiana.

2. Un legame che non è ossequio formale.
Dall’insegnamento della Chiesa e dalle sollecitazioni del Santo Padre ci giungono costantemente non soltanto ammaestramenti, valori e ispirazione, ma anche sempre nuovi compiti di testimonianza e di azione nel contesto scientifico, culturale ed educativo. E proprio di un nuovo, arduo e affascinante impegno, intendo parlare in questa relazione.
L’Ateneo dei cattolici italiani non si è mai concepito come un’enclave intellettuale al riparo dalle provocazioni della contemporaneità e dagli interrogativi che ne scaturiscono.
La chiara impronta di Padre Agostino Gemelli, che fu ad un tempo uomo di fede, scienziato rigoroso e fine umanista, ha favorito il formarsi, generazione dopo generazione, di un luogo predisposto al confronto con le correnti di pensiero che negli ultimi cent’anni hanno attraversato la cultura e la società.

3. Tutto questo converge nell’azione educativa. Occuparsi dell’educazione dei giovani e, nel contempo, presidiare le nuove frontiere della conoscenza significa farsi carico anche degli interrogativi posti dai cambiamenti in atto, che esigono una profonda elaborazione di pensiero.
A questo tipo di attenzione ci richiamava il Messaggio inviatoci dalla Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana per l’ultima Giornata per l’Università Cattolica: «Ci sono sfide epocali che solo generazioni rinnovate nella sensibilità, nelle competenze, nelle responsabilità etiche e nella passione verso il bene comune potranno affrontare: dall’uso delle tecnologie più avanzate nel campo della robotica alle grandi mutazioni ambientali che minacciano la casa comune, dai nuovi orizzonti che si aprono nell’ambito delle neuroscienze alle profonde trasformazioni indotte dalla comunicazione digitale in ogni ambito del vivere umano, dai processi incompiuti legati alla globalizzazione, non privi di ambiguità e incertezze, alla ricerca di nuove modalità per gestire gli organismi internazionali preposti al governo dei rapporti internazionali. Si tratta di questioni complesse che richiedono passione, talento e impegno.» 
 
Questa sede romana è nata per declinare quella vocazione educativa nel delicato campo della medicina; è stata pensata per formare medici dotati di una speciale sensibilità verso l’altro, il malato come fratello sofferente, e per esercitare nel Policlinico una pratica di cura scientificamente e tecnicamente progredita vivificata dalla tensione spirituale di chi ha chiaro il valore irripetibile di ogni singola persona umana.
Ritengo giusto dire che precocemente qui si è compreso il significato antropologico del concetto di cura, di quella etica della cura che avrebbe occupato il dibattito filosofico a partire da diversi decenni più tardi. 
Come ha di recente osservato Francesco Paolo Adorno, le etiche del care hanno conquistato l’attenzione perché «interrogano più o meno implicitamente la consistenza del legame sociale. La diagnosi da cui partono è che le nostre società liberali e democratiche, capitaliste e tolleranti, pur garantendo un livello di vita piuttosto elevato, hanno totalmente perso la capacità di dare senso all’esistenza umana» .
Un senso che, nei rapporti interpersonali, si recupera attraverso la consapevolezza che «le relazioni di cura che le persone hanno le une con le altre non sono giustificate da un obbligo liberamente contratto – secondo una prospettiva liberista o di giustizia commutativa –, ma sono un debito inesauribile che si rimborsa durante tutta la vita» .
Oggi il pagamento di quel debito impone una rinnovata riflessione, radicale e, soprattutto, scientificamente e culturalmente sofisticata, di fronte alle dinamiche che si profilano davanti a noi e che richiedono capacità di comprendere fenomeni altamente complessi e capacità di operare scelte.
La medicina contemporanea, in particolare, pone due grandi e fondamentali dilemmi, tra loro intrecciati: quello del rapporto con l’evoluzione scientifica e tecnologica e quello della sostenibilità economico-sociale dei sistemi di assistenza sanitaria.    

4. Cominciando dal primo profilo, è evidente che si sta affermando una diffusa, un tempo inconfessata ma ora sempre più palese, sensazione di disagio, quasi di disorientamento, di fronte alle nuove possibilità della tecnologia. Una situazione che appariva impensabile per una società che ancora porta in sé i geni del positivismo, dai quali ha derivato la fiducia nel progresso delle conoscenze come mezzo per risolvere i problemi dell’umanità e che ha visto per molti aspetti confermata quella fiducia, almeno nei paesi il cui sviluppo economico lo ha consentito: si pensi al generale miglioramento delle condizioni di vita delle persone, alla liberazione da tanti lavori faticosi e alienanti, alla diffusione del benessere, all’accesso generalizzato all’istruzione. Nel campo medico, le tante malattie debellate o contrastate sempre più efficacemente aprivano alla speranza di un  continuo incremento della longevità e salute degli individui.
Rimanevano le diseguaglianze, le limitazioni all’accesso ai benefici del progresso: ma questo non contraddiceva la premessa circa il valore intrinsecamente positivo delle nuove conquiste scientifiche, il problema si poneva sul diverso piano della distribuzione dei risultati conseguiti.
Oggi però non ci fidiamo più dello schematismo che scindeva scoperta scientifica e applicazione tecnologica, e che ci rassicurava ribadendo che la conoscenza è neutra, mentre il potenziale abuso delle tecnologie che ne derivano è questione da risolvere imponendo regole agli uomini che le utilizzano.
Un simile approccio, che ci ha accompagnato per decenni, non è più attuale, perché le tecnologie hanno potenzialità che sfuggono ai tentativi di confinarle e indirizzarle mediante uno strumento – la norma – che mostra fatica perché sembra che le sfugga il bersaglio; perché non è chiaro come, dove e verso chi la forza coercitiva del precetto debba rivolgersi, e come le forme di autorità costituite, legate alla forma-stato, possano efficacemente operare.

5. Pensando, specificamente, all’attività medica, siamo probabilmente di fronte ad una nuova grande rivoluzione. 
La storia degli sforzi degli esseri umani per lenire le sofferenze e le malattie, è scandita da almeno due fondamentali rivoluzioni. È materia nota ai medici, e non sono qui io ad insegnarla, ma richiamarla alla mente è utile per inquadrare la situazione presente.
La prima fase, ancestrale, è quella della non-conoscenza. Essa concepisce la malattia come un evento doloroso causato da un ignoto agente esterno (tipicamente sovrannaturale) che punisce gli uomini per qualche sconsiderato comportamento. La malattia è quindi la manifestazione di una colpa; il medico è uno sciamano che per curare deve rimediare alla colpa commessa; ovvero, purificare il corpo e in alcuni casi l’ambiente. 
Di qui la dinamica di ciò che è puro contrapposto a ciò che è impuro, tipica di moltissime culture. Ristabilire la purezza può essere talvolta costoso, dovendo rendere-sacro, sacrificare qualcosa in cambio della guarigione. Concezioni delle pestilenze come forme di punizioni divine animano la cultura classica greca (la pestilenza che falcidia il campo degli Achei in seguito all’oltraggio subito da Crise, sacerdote di Apollo, narrata nell’Iliade; la peste delle tragedie e così via). 
Questa fase termina – ma qualche volta assistiamo anche ai giorni nostri a sconcertanti rigurgiti di irrazionalismo e credulità – con la rivoluzione scientifica di Ippocrate, che slega malattia e salute dalla dimensione spirituale e morale, ancorandole invece alla natura. Il concetto fondamentale di Ippocrate è quello di equilibrio degli umori – che è una proprietà in qualche modo osservabile – e la causa, organica, della malattia è la rottura dell’equilibrio. Ovviamente la base scientifica di Ippocrate è consegnata alla storia, ma l’intuizione metodologica è in realtà modernissima. 
La terza fase della medicina inizia con la rivoluzione scientifica propriamente detta. Lo studio del corpo umano viene condotto con il metodo moderno delle scienze della natura, che impiegano il metodo della scienza moderna, evidence based.
Un aspetto importante è la progressiva integrazione della medicina con altre branche del sapere scientifico: la chimica, la microbiologia, la genetica e così via. Questo conferisce alla medicina il carattere di sintesi di saperi differenti, connotata da un alto grado di complessità perché il suo oggetto di studio è un’entità complessa. 
Indubbiamente, e qui ci avviciniamo all’oggi, c’è una componente di spersonalizzazione. Il corpo umano, scisso dalla res cogitans cartesiana, è una macchina biologica: si tratta di indagarne e ove possibile ripristinarne il funzionamento. Quindi si assiste a una concettualizzazione del corpo umano che utilizza il modello della macchina: il cuore è una pompa, i tendini sono cavi, ecc.; per capire un fenomeno della natura, ne costruiamo un modello meccanico. Moderni campi di frontiera come la bionica e lo human enhancement sono lo svolgimento di questa premessa.
La concezione scientista, insieme a grandi conquiste in termini di comprensione delle dinamiche della fisiologia e della patologia, ha portato anche un approccio riduzionista, settoriale, incline a concentrare l’attenzione sulla singola malattia. 
Una tendenza alla quale si è appalesata una reazione, richiamando la necessità di un approccio globale, rivolto al malato, alla persona. Insomma si è avvertita ormai da tempo l’esigenza di correggere una deriva esasperatamente tecnologica. Le riflessioni sulle medical humanities esprimono questo sforzo di riequilibrio dell’approccio (e su questo versante l’Università Cattolica è certamente impegnata: ricordo in proposito un interessante convegno dello scorso mese di ottobre).
Soprattutto, tengo a dire, questa Facoltà e questo Ospedale hanno riconosciuto di dover essere argine alla meccanizzazione della medicina.
La domanda è, ora, se siamo di fronte a una quarta fase nella storia della medicina. O forse se siamo già immersi in un modello radicalmente nuovo e sono le nostre resistenze (culturali, concettuali e forse anche esistenziali) che ci impediscono di coglierne appieno la portata.
In un articolo del dicembre 2019, Nature Medicine raccoglie il parere di autorevoli scienziati e attori nel campo delle istituzioni mediche di livello mondiale sulla medicina che ci sarà tra 25 anni. Le risposte sono varie ma in realtà si aggregano intorno ad alcuni nuclei fondamentali. I primi e più importanti sono quelli dei progressi della genetica, e dell’informazione.
La possibilità di sequenziare il codice genetico di un essere umano e di avere accesso alle informazioni che vi risiedono è alla base di una serie di pratiche mediche il cui punto di arrivo futuro sarà il passaggio dal trattare una malattia a partire dai sintomi al curarla intervenendo preventivamente sulla sua radice genetica. «Passo dopo passo, profileremo i pazienti, conosceremo i meccanismi alla base dei sintomi di ciascuno e sapremo quindi come intervenire in modo personalizzato anche dal punto di vista farmacologico, trattando adeguatamente il paziente là dove, in passato, usavamo cannoni per uccidere zanzare» sostiene il premio Nobel Aron Ciechanover in un’intervista a La Stampa (maggio 2019).
Il primo motore di questa rivoluzione medica è quindi l’informazione genetica; ma questa può essere trattata e raccolta solo disponendo di una immensa capacità di calcolo: è la sfida dei Big Data. 
E qui entra in gioco l’altro protagonista del XXI secolo: l’Intelligenza Artificiale. Lo sviluppo di algoritmi consente di analizzare questa grande mole di dati derivando precise ipotesi diagnostiche.
Big Data e AI sono già tra noi. A Londra il sistema sanitario usa Babylon, un sistema misto in cui una parte di interazione col paziente è gestita da un agente virtuale ipoteticamente onnisciente che, dopo una prima analisi, identifica il problema e indirizza verso lo specialista in carne e ossa più appropriato. 
In un recente importante convegno che si è svolto in questa sede su “Opportunità e Rischi dell’Intelligenza Artificiale in Medicina”, Mauro Ferrari, Presidente del Consiglio europeo della Ricerca (ERC), ricordava che già oggi «ci sono farmaci approvati con procedure di omologazione identiche a quelle che si usano per i prodotti chimici e biologici tradizionali, ma che in realtà sono software».
Se la Rivoluzione dell’Informazione sembra introdurre radicali innovazioni nelle scienze mediche è proprio dalla gestione e della tutela dell’informazione che nascono i problemi più urgenti. 
Gli interrogativi sono molteplici, noti e inquietanti: dove prendere i dati? 
Questa enorme quantità di informazione è naturalmente di ciascuno di noi, ma le aziende farmaceutiche sono disposte a pagare per averne accesso. Si pensi al caso della analisi della sequenza genetica dell’intera popolazione dell’Islanda. Nel 2012 Amgen -- un colosso farmaceutico -- compra la società che possedeva quelle informazioni genetiche. A marzo di quest’anno, quattro mega aziende (tra cui proprio Amgen) inizieranno ad analizzare altre informazioni genetiche che hanno acquistato da UK Biobank: l’accesso a questi dati è stato pagato 120 milioni di dollari; come conservare e proteggere i dati? 

Ci sono state dure contestazioni nei confronti del governo islandese per l’accordo con l’azienda: molti non vogliono che il governo sia in possesso di informazioni riguardanti non soltanto le predisposizioni verso certe patologie ma anche le propensioni sociali e le abilità cognitive dei suoi cittadini. E poi: se l’analisi rivelasse la presenza di mutazioni associate a malattie gravi sarebbe lecito ledere la privacy e comunicare forzatamente l’informazione all’individuo? 
Come leggere i dati e con quale grado di trasparenza? Qui emerge una serie di questioni forse, per il momento, ancora in parte teoriche, ma di grande rilievo, che riguardano la diagnostica compiuta da algoritmi di AI. Anzitutto spesso questi algoritmi sono privati e non open source per cui il loro codice non è disponibile all’utente (che in questo caso è l’ospedale, per esempio). In secondo luogo, una delle caratteristiche più sconvolgenti del Deep Learning è l’opacità dei processi di calcolo: non abbiamo accesso alle procedure che una rete neurale complessa ha messo a punto per risolvere il problema. In un certo senso, non sappiamo come il computer ha “ragionato” per giungere al risultato che ci ha presentato. È chiaro che quando questo risultato riguarda direttamente la salute o la sopravvivenza di un essere umano questa caratteristica può assumere riflessi inquietanti; e soprattutto, quali criteri di selezione nell’accesso alle cure, nella scelta delle cure stesse potranno essere adottati, come saranno controllabili? Per portare un esempio, sempre Mauro Ferrari notava che anche nell’ambito della realtà virtuale e, in particolare, nel campo della telemedicina già si pongono «problemi di sovraffollamento, di ottimizzazione delle risorse e di regolazione degli accessi», che implicano «il ricorso ad algoritmi per la selezione delle procedure da utilizzare».
Ancora, in un articolo recentemente pubblicato sulla nostra rivista “Vita e Pensiero”, il filosofo Adriano Fabris invita a considerare i nuovi presidi dell’AI come «veri e propri agenti artificiali», e a porre la massima attenzione prima di cedere loro lo spazio necessario «per l’esercizio della nostra libertà» . Proprio perché si tratta «di sistemi dotati di un certo grado di autonomia e capaci di agire “adattandosi” all’ambiente in cui operano, attraverso specifici processi di retroazione…» la loro affidabilità non può dipendere solo dalla individuazione di «procedure che permettono di controllare, per quanto possibile, il loro funzionamento» − approccio «utile solo in parte» −, in quanto «dispositivi costruiti e programmati proprio perché un pieno controllo di essi non possa essere esercitato». 

6. Quest’ultima osservazione ci dimostra che la questione non è solo “ingegneristica” e ci conduce all’altro dei temi fondamentali cui ho accennato all’inizio. Quella della disponibilità delle cure, delle modalità della loro erogazione, della sostenibilità dei costi. Il futuro della medicina dovrà confrontarsi ancora con le classiche sfide dell’incontro tra salute e società: la diseguaglianza nell’accesso alle cure, sia all’interno dei singoli Paesi sia tra i vari Stati; i costi, sempre più alti e incidenti nei bilanci degli Stati, e i problemi del mantenimento nel tempo dell’equilibrio economico dei sistemi di assistenza sanitaria generale che si sono sviluppati soprattutto nei Paesi europei a partire dal dopoguerra.
Simili problemi, essenzialmente politici, oltre che etici, saranno anch’essi demandati agli algoritmi, che decideranno, in modo non sappiamo quanto trasparente, chi e come deve essere curato per garantire la sostenibilità del sistema?
Tanti elementi nuovi, in larga parte ancora da comprendere, convergono verso un mutamento del ruolo del medico, messo in discussione da una tecnologia che potrebbe in molti casi prendere il sopravvento sulla relazione tra il medico e il paziente. Non basta, non rassicura, dire che al termine del processo si pone sempre una decisione umana che riguarda le sorti di un altro essere umano del quale si ha il dovere di prendersi cura, come dicevo all’inizio. 
Da un lato si va affermando una tecnologia che non è più strumento inerte da maneggiare o farmaco da somministrare; dall’altro lato l’organizzazione dell’attività sanitaria risentirà fortemente di tali innovazioni, e si imporrano scelte in termini di impiego delle risorse, che significa, dal lato del paziente, disciplina dell’accesso alle cure, sempre più sofisticate ed efficaci, ma anche sempre più costose. Non si scorge, almeno per ora, in questi processi quell’effetto di riduzione dei costi unitari dei beni e dei servizi che in passato si accompagnava all’evoluzione tecnologica, ai processi di industrializzazione meccanica. E questo è un altro fenomeno nuovo, dopo che ci eravamo assuefatti all’idea che i guadagni della tecnologia si traducessero anche in maggiore diffusione di prodotti e servizi.
Tutto questo conduce alla necessità di un governo etico del fenomeno, della regolazione, delle scelte che vanno operate e dei principi che le devono guidare. Luciano Floridi sostiene che non si deve discorrere solo di etica dell’informazione, ma anche di etica dall’informazione, ossia che il nuovo contesto della “infosfera” genera nuovi modelli relazionali, intesi come rapporto tra “enti informazionali”. La radicalità della prospettiva, che la si accetti o meno, offre la misura dei cambiamenti epocali che abbiamo di fronte e della fatica di adattare ad essi gli strumenti che abbiamo messo a punto, in tanti settori dell’esperienza umana, nel corso dei secoli. 
Il nostro Ateneo è sensibile e attento a questi temi. Ne avevamo già discusso in termini generali nell’inaugurazione dell’A.A. 2017/18 con il Card. Gianfranco Ravasi, che poneva la questione in chiave radicalmente antropologica. Ne trattiamo in diversi progetti di ricerca, anche direttamente finanziati dall’Ateneo.
In modo pienamente pertinente ai temi medici, rammento ancora il convegno dello scorso dicembre; in quell’occasione Mons. Edgar Peña Parra, ha rammentato l’invito di Papa Francesco a «impegnarsi in uno sviluppo etico degli algoritmi, farsi promotori di un nuovo campo dell’etica per il nostro tempo: la algor-etica» .
Ecco quindi quel “compito” di cui dicevo in apertura: concorrere a costruire una “etica” delle nuove, per tanti aspetti sfuggenti alla comprensione, tecnologie, che stanno mettendo alla prova concetti come quelli di libertà, dovere, responsabilità, relazione e ancor più radicalmente ridisegnano la stessa idea di soggetto. Molti di coloro che si occupano di questa materia non fanno mistero di pensare proprio a delle nuove soggettività. Nel porre il problema etico, dunque, non si pone una questione normativa, bensì quella decisiva della difesa della persona.
L’elaborazione della nuova etica si associa, e forse ne è uno sviluppo, all’invito del Santo Padre alle università Cattoliche ad elaborare nuovi modelli di analisi del reale, una “nuova episteme … della vita”, di cui ho parlato nell’inaugurazione milanese. 

7. La risposta alla complessità non può che essere allora lo studio, la riflessione, la ricerca, e il conferimento di senso. 
In questa prospettiva – e tornando a volgere l’attenzione al contributo che può offrire questa nostra sede romana – possiamo dire che gli interrogativi ora formulati ci riportano alla radice delle nostre due istituzioni. Per affrontarli, infatti, non basta un ospedale, è indispensabile l’università e in particolare un’università come la nostra, multidisciplinare negli studi e unidirezionale nello scopo: la centralità e dignità della persona.
È necessaria, per non essere travolti dalla corrente irresistibile dei cambiamenti quell’alleanza tra attività clinica, ricerca scientifica e attitudine educativa che permette non solo di coltivare un nuovo umanesimo cristiano nella “civiltà dell’algoritmo”, ma anche di ripensare conseguentemente la cura. 
Siamo infatti già oltre la soglia di una vera e propria rivoluzione nella pratica e nei soggetti delle cure. 
Non si tratta soltanto, come è stato per decenni, di applicare nuovi protocolli, tecniche operatorie, di somministrare più efficaci farmaci, ma di comprendere e governare processi radicalmente differenti da quelli del passato. Non è un progresso lineare, è un salto che esige conoscenze e capacità di multiforme natura. E anche qui è per noi felice il ritorno alle origini della scelta multidisciplinare di Gemelli, che a Roma si manifesta anzitutto nella vicinanza di Medicina ed Economia: e nella presenza dell’alta scuola ALTEMS, abbraccio non soltanto simbolico tra le due discipline, si vede quanto proficuo può essere l’incontro tra i saperi.

8. Non v’è dubbio che nel nostro Ateneo abbiamo, e siamo pronti a dispiegare, conoscenze e capacità personali all’altezza dell’ardua prova della “rivoluzione” in atto. E a conferma di questo passo ora, secondo tradizione, a riferire alcune informazioni sulle attività che si svolgono in questa sede, anche per dare un’idea dell’ampiezza e della qualità dell’impegno educativo, scientifico e di terza missione più volte richiamato.
La qualità è attestata anche dal QS Rankings by subject 2019 che, rispetto alle discipline presenti in questa Sede, colloca la Cattolica tra le prime 150 università del mondo nell’area “Medicine” e tra le prime 200 in “Economics & Econometrics” (la seconda categoria riguarda anche altri campus e altre Facoltà). 
Il numero complessivo degli iscritti della sede di Roma al 31 dicembre 2019 è di 7.178 (42.708 quelli di tutto l’Ateneo) e la maggior parte (4.557) segue Corsi di Laurea Magistrale a Ciclo Unico.
Quest’anno i nuovi immatricolati a tutti i CDL e alle Scuole di Specializzazione sono stati 1.689.
Cresce il numero degli studenti internazionali passati dai 306 dell’a.a. 2017/18 ai 458 dell’a.a. 2018/19.
Mi preme infine ricordare, a conferma degli sforzi per coniugare eccellenza e inclusività, che nell’a.a. 2018/19 397 studenti di questo campus hanno usufruito di una borsa di studio, per un valore complessivo di € 1.533.000, e che gli stessi studenti hanno tutti beneficiato dell’esonero totale dal pagamento delle tasse universitarie.
8.1. Didattica
Due le novità principali di quest’anno in ambito didattico: l’attivazione anche a Roma del CDLM in “Economia, Direzione e consulenza aziendale” in formula e-blended” e del nuovo CDLM in “Biotecnologie per la Medicina personalizzata” della Facoltà di Medicina e chirurgia.
Quanto ai corsi in “Medicina e Chirurgia” (270 posti disponibili) e in “Odontoiatria e Protesi dentaria” (25 posti disponibili) sono pervenute 8.244 domande di ammissione (7.785 per il primo e 459 per il secondo).
Riguardo al CDLM CU in “Medicine and Surgery” – erogato interamente in inglese – (50 posti) sono pervenute 1.122 domande (955 dall’Italia e 167 dall’estero).
Infine, per il CDLM di nuova istituzione (a.a.2019/20) in “Biotecnologie per la medicina personalizzata” (30 posti) sono pervenute 38 domande.
Un ottimo riscontro hanno ottenuto le nuove immatricolazioni al CDLM interfacoltà di Economia/Medicina e Chirurgia in “Management dei servizi” con l’esaurimento dei 100 posti previsti. 
•    Facoltà di Economia
La crescente domanda di formazione qualificata per studenti-lavoratori è alla base dell’istituzione, nell’a.a. 2016/17, del CDLM in “Direzione e consulenza aziendale” della Facoltà di Economia, erogato in modalità blended anche come evoluzione e potenziamento dell’esperienza del corso pomeridiano-serale. Dall’a.a.2019/20 il corso è attivo anche a Roma.
•    Postlaurea
Scuole di specializzazione: nell’a.a. 2019/20 attive 41 Scuole di specializzazione mediche (Medicina fisica e riabilitativa di nuova attivazione) e 3 non mediche (Fisica medica, Ortognatodonzia e Chirurgia orale).
Da segnalare che il concorso nazionale di ammissione alle scuole di specializzazione mediche ha assegnato alla Cattolica 263 posti (61 in più dello scorso anno), ai quali si aggiungono i contratti finanziati dalle Regioni Basilicata e Lazio, da altri Enti e i posti riservati a militari e medici del SSN per un totale di 296 posti rispetto ai 223 dell’anno scorso (gli immatricolati sono stati 295). 
Vi sono, poi, 30 specializzandi non medici (biologi, fisici e odontoiatri) immatricolatisi per l’a.a. 2018/19.
Master universitari: in crescita anche il numero dei Master universitari della sede di Roma: se nell’a.a. 2017/18 erano attivi 60 Master (26 di I livello e 34 di II livello) con 863 iscritti (i master di ALTEMS nelle aree economico-sanitaria ed economico-manageriale erano 6 con 106 iscritti) nel 2018/19 sono stati 69 (29 di I livello e 40 di II livello) con 970 iscritti (8 quelli attivati da ALTEMS con 136 iscritti).
Nell’a.a. 2019/20 sono proposti 90 Master (38 di I livello e 52 di II livello; 12 quelli proposti da ALTEMS). 
Dottorati di ricerca: Nell’a.a. 2018/19 erano attivi 6 corsi di Dottorato con 68 nuovi immatricolati e un totale di 200 iscritti. 
Corsi di perfezionamento: Nell’a.a. 2018/19 sono stati attivati 27 Corsi di perfezionamento (18 delle Facoltà di Medicina e Chirurgia e 9 di ALTEMS) per un totale di 347 iscritti (193 Medicina e Chirurgia; 154 ALTEMS).
8.2 Ricerca scientifica
Nell’a.a. 2018/19, l’attività di ricerca della sede di Roma ha visto l’avvio di 166 nuovi progetti/contratti di ricerca finanziati da soggetti esterni, per un importo totale contrattualizzato di oltre € 11 mln, ai quali si aggiungono contributi per la ricerca scientifica relativi alle linee interne di Ateneo, per un totale di oltre € 12 mln.
Tale importo, complessivamente considerato e in aumento rispetto agli anni precedenti, segnala anche una crescita qualitativa della ricerca qui realizzata e, direi, anche della nostra capacità organizzativa e competitiva: non a caso il maggior incremento è dato proprio dai progetti ottenuti da Bandi Competitivi Non Profit, pubblici e privati (+ 24% rispetto all’a.a. 2017/2018).
Si segnalano, nell’ultimo anno, significativi risultati nel bando PRIN e nei selettivi Bandi AIRC 2019, con la prospettiva, nel secondo caso, di un ottimo consolidamento nel 2020.
Lusinghieri, poi i risultati ottenuti dalla Fondazione Policlinico, che subito dopo aver conseguito la qualifica di IRCCS ha vinto numerosi bandi di ricerca finalizzata.
Questi risultati, raggiunti sia grazie ai docenti già da tempo presenti nella sede sia grazie ai nuovi arrivati, attesta la capacità dell’Ateneo di attrarre talenti in Italia e all’estero. 
Per tutto questo è giusto congratularsi con gli studiosi della Facoltà medica dell’Ateneo, che hanno negli anni conquistato e confermato un’alta reputazione, che non è autodichiarata, ma poggia su concreti riconoscimenti. A questo proposito, per citare quelli riferibili all’anno in corso, mi congratulo con il prof. Filippo Crea, nominato Editor in chief di European Heart Journal, la rivista che nel settore ha il più alto impact factor al mondo, e con il prof. Walter Ricciardi, nominato alla guida del “Mission Board for Cancer” istituito dalla Commissione Europea e Coordinatore dell’organismo di consultazione scientifica della “Fondazione Human Technopole”.
In questi anni abbiamo dovuto compiere un’operazione di ridimensionamento quantitativo di una facoltà divenuta nel tempo assai folta soprattutto, secondo un modello proprio dei decenni passati, per far fronte alle esigenze assistenziali. La Facoltà è oggi più piccola numericamente, ma è ancor più, alla luce dei risultati, una “grande” Facoltà, e di questo va dato convintamente merito all’intero corpo docente e a chi l’ha guidato in questi anni attraverso efficaci e sagge scelte – anche se talora difficili – sia sul versante accademico, sia su quello assistenziale, dove i docenti della facoltà sono stati chiamati a farsi carico delle esigenze di riorganizzazione e incremento dell’efficienza del Policlinico, condividendo con il management dell’ospedale uno sforzo organizzativo e gestionale importante, mostrando la capacità di essere non soltanto clinici, ma anche organizzatori e gestori delle strutture assistenziali.
Complimenti e grazie, cari Colleghi; complimenti e grazie, caro Preside.
Il cenno che ho fatto al Policlinico richiede una parola di approfondimento. 
Per ricordare e rivendicare il valore sociale e collettivo di una struttura che accoglie oltre 100.000 ricoverati in un anno, che eroga nello stesso periodo oltre un milione di prestazioni ambulatoriali, che gestisce un pronto soccorso essenziale per la città di Roma, che è termine di riferimento per cure di eccellenza per l’intera Italia centro-meridionale. Basta questo per rispondere a chi ne nega il valore autenticamente pubblico. Senza bisogno di aggiungere altro.
Tengo però a ricordare, con orgoglio, quanto abbiamo fatto in questi anni, tutti insieme, università, facoltà e, ovviamente, management del Policlinico, prima e dopo la formale separazione dall’Ateneo.
Solo otto anni fa la gestione generava rilevanti perdite e la produzione era inferiore al budget attribuito; oggi il budget regionale è raggiunto e anzi superato, le funzioni non tariffate sono state progressivamente decurtate di oltre venti milioni di euro, si sta pagando un imponente debito pregresso e non si rinuncia a compiere importanti investimenti. 
È stato compiuto un grande intervento di razionalizzazione e crescita dell’efficienza, di sviluppo dell’attività extra SSN, ma lo sforzo per raggiungere l’equilibrio rimane enorme, e alle condizioni attuali, non è affatto scontato che sia sostenibile a lungo. Sono troppe le prestazioni sotto-costo o insufficientemente remunerate, i costi sono in crescita, le necessità di innovazione tecnologica costanti e onerose.
Un giusto riconoscimento del valore sociale del Policlinico, del servizio pubblico che eroga ogni giorno, è la premessa indispensabile perché possa continuare ad offrire cure di alta qualità a tutti coloro che a noi si rivolgono.
Ringrazio, per l’importante lavoro svolto, il Direttore Generale, prof. Marco Elefanti, che da quest’anno concentra il suo impegno e le sue grandi capacità professionali in via esclusiva sul Policlinico, avendo cessato la sua funzione di direttore amministrativo dell’Ateneo. Lo ringrazio, anche in questa sede, per quanto ha fatto in questi anni per l’Ateneo dei cattolici italiani. E anche in questa sede rivolgo un caloroso benvenuto e augurio di buon lavoro al dott. Paolo Nusiner, che dal 1° gennaio ha assunto la responsabilità di direttore amministrativo.
Ringrazio altresì, per aver messo a servizio del Policlinico la sua alta qualificazione professionale, il presidente, dott. Giovanni Raimondi, e con lui tutti i componenti del Consiglio di Amministrazione della Fondazione.  

10. Avviandomi a concludere il mio discorso avverto l’esigenza di formulare alcuni sentiti ringraziamenti.
•    al Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo, al Senato Accademico, al Direttore della Sede di Roma;
•    a S.E. Mons. Claudio Giuliodori, Assistente ecclesiastico Generale dell’Ateneo per il notevolissimo contributo che egli assicura, anche in questa importante sede, con la sua attività pastorale e l’attenzione alle persone della nostra comunità di educazione, ricerca e cura;
•    ai Presidi, Prof. Rocco Bellantone della Facoltà di Medicina e Chirurgia e Prof. Domenico Bodega della Facoltà di Economia. 
•    Un grazie sentito va al Prof. Guido Costamagna che terrà l’odierna Prolusione. 
•    Un pensiero riconoscente va, infine, agli uomini e alle donne che, ogni giorno assicurano, con il proprio lavoro, il corretto e positivo svolgersi della vita universitaria e ospedaliera.
Secondo una sentita tradizione, ringrazio i docenti e i ricercatori della sede romana giunti alla conclusione del loro percorso accademico ufficiale:
I professori ordinari:
Giovanni DOGLIETTO (ordinario di Chirurgia generale)
Pierluigi GRANONE (ordinario di Chirurgia toracica) 
I professori associati:
Domenico SCHIAVINO (associato di Medicina interna)
Paolo SCIRPA (associato di Ginecologia e Ostetricia)
I ricercatori:
Giuseppe BOLDRINI (ricercatore di Chirurgia generale)
Valter Giuseppe BONOMO (ricercatore di Anestesiologia)
Aurora DEL FA’ (ricercatrice di Biologia applicata)
Roberto LA BUA (ricercatore di Medicina del Lavoro)
Armando MANNI (ricercatore di Malattie odontostomatologiche)
Raffaele MANNI (ricercatore di Chirurgia cardiovascolare)
Pasquale Alessandro MARGARITI (ricercatore di Ginecologia e Ostetricia)
Faustino PENNESTRI’ (ricercatore di Malattie dell’Apparato cardiovascolare)
Adriana TURRIZIANI (ricercatrice di Diagnostica per Immagini e Radioterapia)
Antonio VALASSINA (ricercatore di Malattie dell’Apparato locomotore)
Giampiero VILLA (ricercatore di Neurologia)
Rivolgo inoltre un augurio di benvenuto a tutti coloro i quali sono entrati a far parte dell’Università Cattolica del Sacro Cuore nel corso dell’ultimo anno.
Rivolgo ancora un pensiero alle persone che, fra docenti, antichi docenti, personale tecnico-amministrativo e studenti, nel corso dell’ultimo anno sono stati chiamati alla casa del Padre. Commemoro, in particolare, coloro che hanno insegnato in questa sede: il Prof. Ermanno Manni, che fu anche Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia; i Professori Maurizio Maurizi, Mario Antonio Magarò, Salvatore Pelargonio e il Dottor Pietro Santarelli.

In questo discorso ho richiamato l’esigenza di elaborare, in modo aperto e auspicabilmente condiviso, un’etica dell’algoritmo, affinché l’essere umano non rinunci alle proprie responsabilità e la società non sia impreparata, dinanzi ai nuovi dilemmi che già si intravedono nel tutelare la dignità della persona umana e dell’intero creato; nel far valere, potremmo dire, le ragioni della vita non contro, bensì insieme e armoniosamente a quelle delle tecno-scienze.
In questa opera è prezioso l’esempio di “maestri” che si sono mostrati capaci di presidiare in modo critico e propositivo, fasi pionieristiche e passaggi delicati dell’avanzamento della conoscenza tecnico-scientifica; maestri che hanno saputo formare allievi, creare una propria scuola, inserirsi nel dibattito pubblico.
È con questo spirito che concludo onorando la memoria del Cardinale, e Professore, Elio Sgreccia, personalità di spicco della Chiesa italiana, della cultura teologica contemporanea, nonché stimatissimo docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
L’odierno Centro di Ateneo di Bioetica e Scienze della Vita è, a tutti gli effetti, l’evoluzione della grande intuizione del Cardinale che indusse il Rettore Adriano Bausola a istituire, nel 1985, il “Centro di Bioetica” ispirato e diretto per molti anni dallo stesso Sgreccia. Ed è noto il suo impegno nella promozione di un approccio a questi temi basato su un’antropologia personalista e ontologicamente fondata.
Universalmente riconosciuto, anche da chi si collocava su diverse frontiere del pensiero, tra i maggiori bioeticisti nel panorama internazionale, Egli ha offerto un grande contributo, basti pensare al successo del Manuale di Bioetica, più volte rieditato e tradotto in numerose lingue, alla maturazione e crescita della nuova disciplina e anche della riflessione etica contemporanea sulla medicina. 
Fino alla fine dei suoi giorni, egli è stato parte di questa comunità di educazione, ricerca e cura, offrendo alla Chiesa e al mondo, come ha ricordato il Santo Padre, la sua «solerte opera in difesa del fondamentale valore della vita umana, mediante una capillare azione di studio, di formazione e di evangelizzazione». 
La sua figura e il suo lascito intellettuale assumono, anche in relazione agli interrogativi della contemporaneità sui quali mi sono a lungo intrattenuto un valore paradigmatico per chi è consapevole, come egli sosteneva, che «il progresso vero dell’umanità non può essere concepito né come un mito né come un’ideologia, ma dovrà essere considerato un impegno carico di responsabilità etiche». 
La consapevolezza di queste responsabilità appartiene alle persone che vivono e operano nella nostra sede romana, nelle Facoltà e nel Policlinico. Così come abbiamo saputo resistere agli effetti disumanizzanti della “meccanizzazione della medicina”, è ora la “digitalizzazione” la nuova rivoluzione del sapere e dell’agire umano. Affronteremo anche questa sfida con la forza delle nostre competenze e la carica di umanità delle donne e degli uomini che compongono la grande famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

* rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore

IL DISCORSO CON LE NOTE AL TESTO ( KB)